Il bilancio Caritas. Ha funzionato e
i suoi difetti sono comuni a tutti i paesi Ocse. L’Italia era all’ultimo posto
per aiuti ai poveri: ora è possibile renderlo più efficace
di Domenico De Masi *
Mentre i media continuano a
confondere le idee sul Reddito di cittadinanza, studiosi attenti e studi
accurati si sforzano di fare chiarezza. Il risultato più recente di questi
sforzi è offerto dalle 487 pagine del rapporto Lotta alla povertà. Imparare
dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di
cittadinanza, appena pubblicato dalla Caritas, organismo pastorale della
Conferenza Episcopale. Con dovizia di dati, offre un aiuto prezioso a coloro
che intendono informarsi su chi ha ricevuto il Rdc, come è stata organizzata la
rete del welfare locale, quali sono stati i percorsi di inclusione sociale e
lavorativa, quali nodi di attuazione sono stati messi in luce dalla sua
applicazione. Due capitoli sono dedicati al rapporto tra il Rdc e i beneficiari
dei servizi della Caritas; altri due al reddito minimo così come adottato nei
Paesi Ocse e al Rdc in una prospettiva comparata. Tre capitoli sono dedicati
alle misure emergenziali attuate per fronteggiare il Covid. I due capitoli
finali sono dedicati alle proposte per il riordino del Rdc e all’impegno della
Caritas in questo senso.
Sono stato così puntiglioso sui
contenuti del Rapporto per sottolineare quante cose si dovrebbero sapere prima
di chiedere un referendum per abolire una misura che – secondo le parole del
responsabile delle politiche sociali della Caritas – “punta a favorire
l’autonomia e lo sviluppo integrale delle persone sostenendole dal punto di
vista sociale e lavorativo”. È una misura che coinvolge problemi complessi,
molto difficili da analizzare e risolvere perché intersecano la politica,
l’economia e la sociologia, ma che vanno affrontati scientificamente se si
vogliono evitare conseguenze sociali ancora più irreparabili. Mi limito qui
solo a un paio tra i tanti argomenti affrontati dal Rapporto Caritas. Premessa:
si parla di Rdc includendovi la Pensione di cittadinanza (Pdc).
Il Paese più avaro Un capitolo compara il nostro Rdc con il reddito
minimo in vigore nei Paesi Ocse. Obiettivo del reddito minimo è la target
efficiency, la capacità di raggiungere le fasce più deboli di popolazione. In
media, nei 37 Paesi Ocse, l’11% della popolazione in età lavorativa è a rischio
povertà mentre in Italia è il 15%. Se si considerano i soli disoccupati, sale
al 30% nell’Ocse e al 59% in Italia. Come si cautelano i cittadini contro
questo rischio? Quelli che lavorano e guadagnano a sufficienza pagano
contributi sociali che, in caso di perdita del lavoro, permettono loro di
ricevere aiuti (pensione, Cig, indennità di malattia, ecc.). Agli altri, lo
Stato assicura sussidi assistenziali come il reddito minimo a cui spesso ne
vengono affiancati altri per i figli piccoli, l’affitto, la disabilità, ecc.
Tutti i 37 Paesi dell’Ocse
prevedevano già molto prima dell’Italia trasferimenti simili al nostro Reddito
di cittadinanza. Oggi i trasferimenti sociali di tipo non contributivo,
rispetto al totale dei trasferimenti, rappresentano l’82% in Danimarca, il 71%
in Irlanda, il 60% in Germania e il 51% in Francia. In Italia non superano il
38%. Insieme al Portogallo siamo il Paese più ingiusto sulla ripartizione dei
trasferimenti: nel 2018, mentre il 43% di tutti i sussidi erogati alla
popolazione in età lavorativa è andato al 20% più agiato sotto forma di cassa
integrazione, pensioni anticipate, pre-pensionamenti, ecc., solo l’8% è
arrivato al quintile di reddito più basso.
Fin quando c’era il Rei, l’Italia
era al 37° posto (cioè all’ultimo) tra tutti i Paesi dell’Ocse per ammontare di
sussidi erogati ai suoi poveri; con il Rdc siamo passati al 33° posto. Questo
piazzamento è vergognoso se si considera da una parte l’annoso ritardo con cui
è stato attivato il Rdc e l’esiguità dell’importo, dall’altra che il nostro è
l’ottavo Paese al mondo per Pil e che, nell’ultimo decennio, i 6 milioni di
italiani più ricchi, nonostante la crisi, hanno visto aumentare del 72% il loro
patrimonio. Eppure, quando si discuteva se introdurre il Rdc, un coro che
andava da Salvini al cardinale Bassetti, presidente della Cei, piagnucolò che
non si sapeva dove prendere i soldi.
Un bilancio Il Rdc ha poco più di due anni. Nel 2020 vi erano in
Italia 26 milioni di nuclei familiari di cui il 91,4% non pativa povertà (dati
Istat e Inps). Il resto versava in uno stato di povertà assoluta (2 milioni, il
7,7%) o povertà relativa (5,5 milioni). Le famiglie che hanno ricevuto il Rdc
sono state 1,58 milioni, il 4,7%, con oscillazioni che vanno dallo 0,2% a
Bolzano al 12,2% in Campania. Nel 17% dei nuclei percettori vi sono disabili;
nel 29% ci sono minori.
L’importo medio è stato di 584 euro.
Basta per uscire dalla povertà assoluta? Secondo il Rapporto, “malgrado un
tasso di copertura non molto elevato, il Rdc ha avuto un effetto significativo
sulla povertà e sulla diseguaglianza”. La percentuale delle famiglie in povertà
assoluta è diminuita di 1,7 punti e quella delle famiglie in povertà relativa
di 1,3 punti, mentre l’Indice di Gini è migliorato dallo 0.334 allo 0.326. Il
57% di quanti hanno ricevuto il Rdc sono usciti dalla povertà. Non è poco.
Il welfare Come ho detto, la povertà è un capitolo
socio-economico molto complesso. Chi denunzia con livore o si scandalizza dei
difetti riscontrati in questi due anni o gioca una sua partita elettorale sulla
pelle dei poveri o dimostra la propria ignoranza della materia. Il welfare, di
cui il Rdc fa parte, non è un’invenzione di comunisti o socialdemocratici. Lo
impose il “cancelliere di ferro” Otto von Bismarck, odiato dai socialisti, come
astuta risposta alle sfide della società industriale e alle istanze religiose
per arginare le rivendicazioni sindacali, la lotta di classe e le spinte
rivoluzionarie. Avversare il welfare da parte dei ricchi significa essere
imprudenti; sostenere che nei Paesi capitalisti la povertà si combatte con la
crescita significa non aver capito come mai in ricche nazioni come gli Usa
crescano sia la ricchezza che il numero degli indigenti.
L’adozione del Rei prima e del Rdc
dopo va considerata come un test per individuare i problemi e risolverli. Due
di questi, prevedibili ma solo ora quantificabili, consistono nel fatto che un
certo numero di poveri non lo ha percepito mentre un certo numero di percettori
del sussidio non lo meritava. Questa anomalia, presente in tutti i Paesi, è
scontata ma va circoscritta il più possibile.
Gli ingenui Su 100 famiglie, 6,9 sono povere. Di queste, 3,9 (il
56%) non hanno percepito il Rdc perché non ne conoscevano l’esistenza o non
sono riuscite a sbrigare le pratiche necessarie, o perché non hanno saputo
calcolare bene il loro grado di povertà, soprattutto se possessori di mobili e
immobili. Ma come mai è così difficile raggiungere i poveri meritevoli del
sussidio? Prendiamo il caso limite: i barboni. Nei 158 Comuni dove si è cercato
di individuarli, sono risultati in circa 60.000 quindi è probabile che in tutto
il Paese siano almeno il quadruplo (negli Stati Uniti sono 532.000 e in
Germania 337.000). Il Rapporto riferisce che il 45% dei nuclei assistiti dalla
Caritas non ha percepito il Rdc perché neppure sapeva che esistesse, o credeva
di non averne i requisiti, o aveva difficoltà nel presentare la domanda, o
mancava di un sufficiente supporto e orientamento. Se tutte le forze di
sinistra, tutti i sindacati e tutti gli uomini di buona volontà che dicono di
battersi per la giustizia sociale, se tutte le associazioni caritatevoli e
filantropiche che procurano minestre calde ai barboni, avessero accompagnato i
poveri di loro conoscenza nell’itinerario burocratico che conduce al sussidio
statale, molte decine di migliaia di senzatetto avrebbero sostituito la
dipendenza poco dignitosa dalla carità aleatoria con il diritto civile alla
sopravvivenza riconosciuta e assicurata dallo Stato.
Comunque la difficoltà di
intercettare si riscontra in tutti i Paesi. In Germania il sussidio Alg II ha
impiegato 15 anni per raggiungere 15 milioni di poveri, il 60% dei potenziali
destinatari. Tutto sommato l’Italia è in una situazione migliore, nonostante
abbia Centri per l’Impiego di gran lunga più sgangherati. Già nel primo mese di
erogazione, da noi si contava più di mezzo milione di nuclei beneficiari,
diventati 1,13 milioni nel marzo 2021.
I “furbi” Il caso opposto è quello dei percettori del sussidio
che non lo meritano. Anche questo fenomeno si riscontra in tutti i Paesi Ocse,
ma in Italia rappresenta il grande cavallo di battaglia dei nemici del Rdc. Se
si usasse lo stesso criterio anche per il sistema fiscale, si dovrebbe passare
all’abolizione delle tasse dal momento che ci sono i furboni che le evadono. La
caccia a questi furbetti del Rdc è diventato il piatto forte dei talk show.
Come abbiamo visto, su 100 nuclei, 4,7 hanno percepito il Rdc. Di questi,
l’1,7% non possedeva i requisiti per meritarlo. Questo 1,7 equivale al 36% di
tutti i nuclei che hanno percepito il reddito. La percentuale aumenta nei
nuclei di piccole dimensioni; nel Nord si ferma al 29% ma nel Mezzogiorno
arriva al 40%.Cristiano Gori, responsabile scientifico del Rapporto, riconosce
“l’importanza di avere una misura di contrasto della povertà ben finanziata nel
nostro Paese. Un obiettivo per il quale Caritas Italiana si è sempre impegnata
e che – per decenni – è sembrato irraggiungibile”. Dopo 70 anni di incuria,
questi due anni di sperimentazione erano indispensabili, altrimenti oggi i
tempi non sarebbero maturi per un riordino della materia, finalmente capace di
saldare il debito tra lo Stato e i suoi cittadini meno fortunati.
* da ilfattoquotidiano.it
-23 luglio 2021