(da: newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna su Internazionale )
Il 6 gennaio, mentre venivano diffuse le prime immagini dei sostenitori di
Donald Trump che prendevano d’assalto il congresso degli Stati Uniti, Van Jones, commentatore
della Cnn, faceva una domanda a se stesso e al paese: stiamo assistendo alla
fine di qualcosa o all’inizio di qualcosa? Quelle violenze erano l’ultimo colpo
di coda di un presidente sconfitto e rinnegato o le prime schermaglie di una
guerra civile? Nei prossimi mesi il dibattito politico negli Stati Uniti
ruoterà intorno a questa domanda, e dovrebbe portare la società a guardarsi
allo specchio e ad affrontare questioni ignorate per decenni sul senso della
democrazia e su chi merita di essere rappresentato.
È un dibattito che incontrerà molta resistenza, e i primi segnali non sono
incoraggianti. Molti politici – di entrambi gli schieramenti – hanno commentato
i fatti del 6 gennaio 2021 con una frase che, fin dagli albori della
repubblica, spunta fuori ogni volta che bisogna spiegare eventi apparentemente
inspiegabili: “Questa non è la vera America”. È preoccupante e vergognoso che a
dirlo siano i repubblicani. Perché negli ultimi quattro anni hanno fomentato i
peggiori istinti di Donald Trump barattando la democrazia con provvedimenti – giudici
conservatori nei tribunali e tagli alle tasse per i ricchi – che alla luce
degli ultimi fatti diventano secondari. Ma anche perché Trump non è venuto
fuori dal nulla. Come ha scritto la
giornalista Sarah Jones, si può facilmente tracciare una linea che parte dalla
sua amministrazione e va a ritroso fino alle radici del movimento conservatore
moderno. “A partire dagli anni sessanta, consulenti politici come Roger Stone e
Lee Atwater hanno mostrato ai presidenti repubblicani – Richard Nixon, Ronald
Reagan e i due Bush – come vincere le elezioni sfruttando gli istinti più
spregevoli dell’elettorato”. Da decenni i conservatori americani si oppongono a
qualsiasi tentativo di estendere i diritti ai gruppi emarginati, per le stesse
ragioni che hanno portato Trump alla presidenza e hanno causato l’assalto al
congresso: la paura che il paese finisca in mano alle persone sbagliate, e
l’idea che il potere sia legittimo solo se sono loro a esercitarlo (“vogliamo
indietro il nostro paese”, ha detto uno dei insorti
a un giornalista).
Tutto questo spiega perché i repubblicani non possono semplicemente prendere le
distanze da Trump e voltare pagina. Come ha scritto Peter Wehner sull’Atlantic,
hanno creato un mostro che ora non possono più controllare; anzi, rischiano di
esserne dominati. Il 7 gennaio 2021 YouGov ha rivelato che il 45
per cento degli elettori repubblicani approva l’assalto al congresso, e il 52
per cento pensa che la responsabilità sia almeno in parte del futuro presidente
Joe Biden. Trump e la sua famiglia usciranno dalla Casa Bianca coperti di
ridicolo, ma con in dote un consenso importante che useranno per colpire i
“traditori”, sostenere gli amici e condizionare a lungo la politica nazionale.
Quanto a Biden, quale sarà il suo margine di manovra? Come si governa un paese
dove la violenza politica può scoppiare in qualsiasi momento? Anche lui, poco
dopo l’assalto al congresso, ha detto che “quello che stiamo vedendo non
riflette la vera America”. Ha aggiunto che “non c’è niente che non possiamo
fare se lo facciamo insieme”. Alcuni settori del mondo progressista temono che Biden si
preoccuperà di placare i conservatori più che di attuare un audace programma di
riforme su disuguaglianze e giustizia razziale. Secondo l’Economist,
invece, gli eventi del 6 gennaio – la violenza a Washington e le vittorie dei
candidati democratici nei ballottaggi per il senato in Georgia – rappresentano
un’opportunità: per la prima volta dal 2010 i democratici controlleranno
entrambi i rami del congresso con i repubblicani in una posizione di debolezza.
Biden potrebbe sfruttare questa situazione per cambiare il corso della politica
statunitense. (10 gennaio 2021)
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