( di Marinella Correggia - il manifesto 5 febbraio 2019 )
Il 30 marzo
2011, un gruppo di pacifisti protestava sotto il Quirinale quando il presidente
Napolitano e il Pd spingevano l’Italia del governo Berlusconi a partecipare
appieno alla devastante guerra Nato contro la Libia. Napolitano disse: «Non
lasciamo calpestare il Risorgimento arabo». Dopo molti mesi, il presidente Hugo
Chávez – che invano si era speso per scongiurare le bombe – spiegava che il
Venezuela non poteva riconoscere un governo di transizione con componenti
terroristiche e razziste, portato al potere dall’interventismo bellico. Altro
che Risorgimento.
Otto anni
dopo, il presidente Sergio Mattarella a proposito di Venezuela spiega che
«nella scelta non può esserci né incertezza né esitazione tra volontà popolare
e richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della
forza e le sofferenze della popolazione civile».
Ma il
presidente, garante della Carta costituzionale italiana, non dovrebbe essere
rispettoso anche di quella venezuelana? La quale, come sottolinea al manifesto
Attilio, cittadino italiano residente in Venezuela, «prevede che il presidente
dell’Assemblea legislativa possa sostituire il presidente della Repubblica solo
in caso di morte, malattia, abbandono, destituzione per colpe gravi da parte
del Tribunale supremo».
Ma poi
perché si è convinti che il governo italiano «stia» con Maduro? È vero che – in
base al principio di non ingerenza – l’Italia non ha riconosciuto il golpista
Guaidó. Tuttavia, nella nota di palazzo Chigi del 1 febbraio «si ricorda che
l’Italia non ha mai riconosciuto le elezioni del maggio 2018 e ribadisce la
necessità di nuove elezioni presidenziali quanto prima». È quel che chiede Guaidó.
Pochi giorni prima al Senato, il ministro degli Esteri Enzo Moavero ribadiva:
«Appoggiamo la dichiarazione Ue per nuove elezioni presidenziali libere,
democraticamente riconoscibili». Sempre il 1 febbraio, il vice-premier Luigi di
Maio dichiara: «L’Italia non riconosce soggetti che non sono stati votati. Per
questo non riconosciamo neppure Maduro».
Il 31
gennaio, i parlamentari europei della Lega e dei 5 Stelle sul voto sul
riconoscimento di Guaidó si astenevano e non votavano contro (come hanno fatto
invece la Gue e parte dei Verdi). Il vicepresidente pentastellato del
Parlamento europeo Fabio Castaldo spiega: «Non siamo né pro né contro Maduro».
Ben diversa la posizione leghista – ministro Salvini, sottosegretari Picchi e
Merlo – contro il «dittatore Maduro che affama e tortura il popolo».
Praticamente le stesse parole usate da Matteo Renzi.
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