21 settembre 2018

L'anno che può sconvolgere l'Europa



Il nuovo quadro politico in Italia è un aspetto del generale collasso dei partiti di centro-sinistra in Europa. E, più specificamente, della crisi dell'eurozona. 

Nei sondaggi correnti la maggioranza degli elettori italiani si schiera a favore del governo basato sulla coalizione fra Cinquestelle e Lega. Ma se si chiedesse ai militanti di ciascuno dei due partiti della coalizione quale sarebbe stata la sua scelta preferenziale, almeno una parte avrebbe espresso una scelta diversa: l’una a favore di una coalizione chiaramente di destra; l’altra per un’alleanza fra Cinquestelle e Partito democratico. La ragione è chiara. La lega di Salvini è un partito inequivocabilmente di destra. Mentre in una parte dei Cinquestelle, forse la maggioranza, prevale un’inclinazione di sinistra. 
In mancanza di possibili soluzioni alternative, i due partiti hanno formato una coalizione di governo per molti versi eterogenea, mediando le evidenti dissonanze su temi importanti come i migranti, la tassazione, le nazionalizzazioni, e così via.

1.     Per giudicare il governo in carica, è giusto porsi una domanda preliminare: da dove nasce questo quadro  nuovo e imprevisto quadro politico. Perché, non ostante le contraddizioni interne, la nuova coalizione gode del consenso di una grande maggioranza degli elettori? Posta in altri termini la domanda è: per quale ragione i due partiti che hanno governato il paese in alternanza nell’ultimo quarto di secolo - Il PD e Forza Italia - hanno insieme raggiunto una misera somma di voti inferiore a quella del solo Movimento Cinquestelle, nato da appena qualche anno? E’ sufficiente eludere la domanda ricorrendo all’etichetta del populismo, nuovo passepartout dell’analisi politica?
E’ utile partire dal fatto che il cambiamento in corso non è una singolare caratteristica italiana. Il tracollo dei partiti di centrosinistra è il più importante processo politico in corso in Europa. Due casi sono esemplari. Il Partito socialista francese che governò la Francia fra gli anni 80 e 90 e organizzò il passaggio all’Unione europea con François Mitterrand e Jacques  Delors è stato spazzato via nelle elezioni del 2017, ridotto al 6 per cento dei voti. In Germania la SPD, dopo essere stata al centro della politica europea con Willy Brandt e Helmut Schmidt, è ridotto a un partito subalterno senza arte né parte.

Questa discesa agli inferi non è casuale. Tutti i partiti di tradizione socialdemocratica, alla fine del secolo scorso dominanti in Europa e fautori senza riserve del passaggio alla moneta unica, hanno in un modo o nell’altro partecipato alla stessa metamorfosi ideologica e politica. Metamorfosi riassumibile nel rigetto delle caratteristiche fondamentali della tradizionale sinistra europea: il rigetto del ruolo dello stato nell’ economia, della difesa dei fondamenti dello stato sociale, della rappresentanza del mondo del lavoro in un rapporto attivo con i sindacati.
Questo processo si è accompagnato a una epocale revisione ideologica: il superamento dello stato nazionale verso l’approdo di un immaginario superstato europeo, garante della crescita economica e di nuovi equilibri sociali nell’era della globalizzazione. Conosciamo l’esito di questa nuova religione basata sull’avvento profetico di un nuovo mondo finalmente affrancato dai vincoli statalistici tipici della vecchia socialdemocrazia del passato millennio.
L’eurozona è l’unica area tra i paesi economicamente avanzati che non ha ancora recuperato i livelli di reddito anteriori alla crisi, La disoccupazione rimane mediamente prossima al 10 per cento nell’eurozona, mentre in Italia è stabilmente più alta, e nel Mezzogiorno si aggira sul 20 per cento, che corrisponde alla condizione della Grecia, ma con una popolazione pressoché doppia.
Nel risultato del 4 marzo non vi nulla di misterioso. Riflette il fallimento dei governi che hanno guidato il paese prima con Forza Italia di Berlusconi; poi col Partito democratico di Matteo Renzi.

2.     Nella primavera del 2019 si avvierà, in coincidenza col rinnovo del Parlamento europeo, un esteso cambiamento politico nei principali ruoli delle istituzioni europee. Inevitabilmente, il nuovo Parlamento europeo rifletterà i profondi cambiamenti verificatisi negli ultimi anni nei paesi che compongono l’Unione. Dovranno essere nominati nei mesi immediatamente successivi il nuovo presidente del Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio dei ministri; In autunno scadrà il mandato di Draghi e bisognerà nominare il suo successore alla testa della BCE. E’ lecito prevedere una svolta a tutto campo. La rappresentanza dei partiti socialdemocratici che hanno governato, insieme con i Popolari, l’Unione europea sarà falcidiata. Il Partito popolare, a sua volta, presenterà uno scenario lacerato nel quale assumeranno un ruolo importante i partiti al governo del Gruppo di Visegrad, e altri dell’eurozona critici con la politica corrente.
D’altra parte, Germania e Francia conserveranno certamente un ruolo di primo piano, ma su una base molto più incerta e fragile. In Germania, la coalizione di governo CDU-CSU e SPD è sostenuta nel Bundestag dalla più esigua maggioranza dell’ultimo mezzo secolo. La Francia ha visto impallidire la velleitaria ambizione di Macron di porsi come un nuovo Mitterrand in grado di ridefinire le istituzioni europee. , In questo quadro, sorprendentemente, la novità sarà rappresentata dall’Italia, con un governo dotato di una forte maggioranza e l’ambizione di assumere un ruolo non subalterno in Europa.

Un compito non facile. Il nuovo governo italiano dovrà misurarsi con la sfida del disavanzo di bilancio e del debito pubblico. Questo è in particolare il fantasma che in Italia compare a ogni tentativo di tracciare un percorso politico diverso dal passato. Un fantasma che può essere esorcizzato?

3.     Partiamo dalla constatazione che l’aumento del debito pubblico non è una esclusiva caratteristica italiana. Era naturale che si verificasse non solo in Italia ma in tutta l’eurozona  in tempi di recessione economica, prima, e di stagnazione poi. Quando diminuiscono le entrate fiscali, mentre rimangono fisse le spese fondamentali di funzionamento dell’amministrazione e cresce l’onere degli interessi sul debito, c’è un solo modo per fronteggiare la crisi fiscale, ed è la ripresa della crescita puntando sugli investimenti pubblici necessariamente in disavanzo.
 Così l’America fronteggiò la crisi degli anni trenta col New Deal di Roosevelt. E se questo può apparire un richiamo a un’epoca remota, sarà sufficiente ricordare che gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi del 2008, immettendo nell’economia dissestata prima 700 miliardi di dollari per bloccare la crisi bancaria, sotto l’egida del ministro repubblicano del Tesoro, Henry Paulson; poi 800 miliardi decretati da Obama per il rilancio dell’economia. La dimensione dell’interveento dell’amministrazione Obama è stato giudicato insufficiente. Indubbiamente poteva essere più vasto e incisivo per risanare gli squilibri sociali generati dala crisi. Ma le autorità dell’eurozona, sotto la guida della Germania,  e con la complicità dei governi francesi di Sarkozy e Hollande ,non hanno adottato misure definibili insufficienti, ma puramente deflazionistiche destinate ad aggravare la crisi, paralizzando la ripresa e spingendo la disoccupazione ai livelli più alti dell’ultimo mezzo secolo.Il risultato della politica europea è alla luce del sole. L’eurozona è l’area con la più bassa crescita nel mondo sviluppato. E' l’Italia Ia vittima sacrificale più illustre, guidata da governi complici della politica ciecamente deflazionista di Bruxelles e Francoforte. Il nuovo governo è nato sulla promessa di rompere questa complicità.

Non sarà facile. Qualche cifra può aiutare a illuminare il quadro. Secondo lo schema concordato dal passato governo con le autorità dell’eurozona, il disavanzo di bilancio dovrebbe scendere allo 0,8 per cento nel 2019 per azzerarsi nell’anno successivo. Come dire, in un paese con la più bassa crescita dell’Unione europea, un salasso micidiale. Il nuovo governo è intenzionato a opporsi ai diktat dell’eurozona. In un’economia agonizzante, con una crescita in corso inferiore all’1 per cento, l’obiettivo del pareggio del bilancio è privo di senso.
Il segnale è importante. Assumendo un obiettivo di disavanzo compreso fra il due e il tre per cento per i primi anni della muova legislatura, si renderanno disponibili fra 30 e40 miliardi l’anno per nuovi investimenti in grado di rilanciare la crescita e l’occupazione. Il debito in cifra assoluta tenderà inizialmente a crescere, ma a medio termine il suo valore si ridurrà in relazione al PIL. Il nuovo governo dovrà misurarsi con la critica interna condotta dalla quasi totalità della stampa nazionale e con l’opposizione delle autorità dell’eurozona. Ma un cambio di rotta rispetto al passato appare possibile. Se si realizzerà ne trarrà vantaggio non solo l’Italia, ma l’Unione europea e la stessa eurozona.

Antonio Lettieri è stato segretario confederale della Cgil. Attualmente è presidente del Centro internazionale Studi sociali (Ciss).

* da  www.insightweb.it   settembre 2018

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