di Antonio Lettieri *
Il nuovo quadro politico in Italia è un
aspetto del generale collasso dei partiti di centro-sinistra in
Europa. E, più specificamente, della crisi dell'eurozona.
Nei sondaggi correnti la maggioranza degli elettori
italiani si schiera a favore del governo basato sulla coalizione fra
Cinquestelle e Lega. Ma se si chiedesse ai militanti di ciascuno dei due
partiti della coalizione quale sarebbe stata la sua scelta preferenziale,
almeno una parte avrebbe espresso una scelta diversa: l’una a favore di una
coalizione chiaramente di destra; l’altra per un’alleanza fra Cinquestelle e
Partito democratico. La ragione è chiara. La lega di Salvini è un partito inequivocabilmente
di destra. Mentre in una parte dei Cinquestelle, forse la maggioranza, prevale
un’inclinazione di sinistra.
In mancanza di possibili soluzioni alternative, i due
partiti hanno formato una coalizione di governo per molti versi eterogenea,
mediando le evidenti dissonanze su temi importanti come i migranti, la
tassazione, le nazionalizzazioni, e così via.
1. Per giudicare il governo in carica, è giusto porsi una
domanda preliminare: da dove nasce questo quadro nuovo e imprevisto
quadro politico. Perché, non ostante le contraddizioni interne, la nuova
coalizione gode del consenso di una grande maggioranza degli elettori? Posta in
altri termini la domanda è: per quale ragione i due partiti che hanno governato
il paese in alternanza nell’ultimo quarto di secolo - Il PD e Forza Italia -
hanno insieme raggiunto una misera somma di voti inferiore a quella del solo
Movimento Cinquestelle, nato da appena qualche anno? E’ sufficiente eludere la
domanda ricorrendo all’etichetta del populismo, nuovo passepartout dell’analisi
politica?
E’ utile partire dal fatto che il cambiamento in corso
non è una singolare caratteristica italiana. Il tracollo dei partiti di
centrosinistra è il più importante processo politico in corso in Europa. Due
casi sono esemplari. Il Partito socialista francese che governò la Francia fra
gli anni 80 e 90 e organizzò il passaggio all’Unione europea con François
Mitterrand e Jacques Delors è stato spazzato via nelle elezioni del 2017,
ridotto al 6 per cento dei voti. In Germania la SPD, dopo essere stata al
centro della politica europea con Willy Brandt e Helmut Schmidt, è ridotto a un
partito subalterno senza arte né parte.
Questa discesa agli inferi non è casuale. Tutti i
partiti di tradizione socialdemocratica, alla fine del secolo scorso dominanti
in Europa e fautori senza riserve del passaggio alla moneta unica, hanno in un
modo o nell’altro partecipato alla stessa metamorfosi ideologica e politica.
Metamorfosi riassumibile nel rigetto delle caratteristiche fondamentali della
tradizionale sinistra europea: il rigetto del ruolo dello stato nell’ economia,
della difesa dei fondamenti dello stato sociale, della rappresentanza del mondo
del lavoro in un rapporto attivo con i sindacati.
Questo processo si è accompagnato a una epocale
revisione ideologica: il superamento dello stato nazionale verso l’approdo di
un immaginario superstato europeo, garante della crescita economica e di nuovi
equilibri sociali nell’era della globalizzazione. Conosciamo l’esito di questa
nuova religione basata sull’avvento profetico di un nuovo mondo finalmente
affrancato dai vincoli statalistici tipici della vecchia socialdemocrazia del
passato millennio.
L’eurozona è l’unica area tra i paesi economicamente
avanzati che non ha ancora recuperato i livelli di reddito anteriori alla
crisi, La disoccupazione rimane mediamente prossima al 10 per cento
nell’eurozona, mentre in Italia è stabilmente più alta, e nel Mezzogiorno si
aggira sul 20 per cento, che corrisponde alla condizione della Grecia, ma con
una popolazione pressoché doppia.
Nel risultato del 4 marzo non vi nulla di misterioso.
Riflette il fallimento dei governi che hanno guidato il paese prima con Forza
Italia di Berlusconi; poi col Partito democratico di Matteo Renzi.
2. Nella primavera del 2019 si avvierà, in coincidenza col rinnovo del Parlamento europeo, un esteso cambiamento politico nei principali ruoli delle istituzioni europee. Inevitabilmente, il nuovo Parlamento europeo rifletterà i profondi cambiamenti verificatisi negli ultimi anni nei paesi che compongono l’Unione. Dovranno essere nominati nei mesi immediatamente successivi il nuovo presidente del Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio dei ministri; In autunno scadrà il mandato di Draghi e bisognerà nominare il suo successore alla testa della BCE. E’ lecito prevedere una svolta a tutto campo. La rappresentanza dei partiti socialdemocratici che hanno governato, insieme con i Popolari, l’Unione europea sarà falcidiata. Il Partito popolare, a sua volta, presenterà uno scenario lacerato nel quale assumeranno un ruolo importante i partiti al governo del Gruppo di Visegrad, e altri dell’eurozona critici con la politica corrente.
D’altra parte, Germania e Francia conserveranno
certamente un ruolo di primo piano, ma su una base molto più incerta e fragile.
In Germania, la coalizione di governo CDU-CSU e SPD è sostenuta nel Bundestag
dalla più esigua maggioranza dell’ultimo mezzo secolo. La Francia ha visto
impallidire la velleitaria ambizione di Macron di porsi come un nuovo
Mitterrand in grado di ridefinire le istituzioni europee. , In questo quadro,
sorprendentemente, la novità sarà rappresentata dall’Italia, con un governo
dotato di una forte maggioranza e l’ambizione di assumere un ruolo non
subalterno in Europa.
Un compito non facile. Il nuovo governo italiano dovrà misurarsi con la sfida del disavanzo di bilancio e del debito pubblico. Questo è in particolare il fantasma che in Italia compare a ogni tentativo di tracciare un percorso politico diverso dal passato. Un fantasma che può essere esorcizzato?
Un compito non facile. Il nuovo governo italiano dovrà misurarsi con la sfida del disavanzo di bilancio e del debito pubblico. Questo è in particolare il fantasma che in Italia compare a ogni tentativo di tracciare un percorso politico diverso dal passato. Un fantasma che può essere esorcizzato?
3. Partiamo dalla constatazione che l’aumento del debito pubblico non è una esclusiva caratteristica italiana. Era naturale che si verificasse non solo in Italia ma in tutta l’eurozona in tempi di recessione economica, prima, e di stagnazione poi. Quando diminuiscono le entrate fiscali, mentre rimangono fisse le spese fondamentali di funzionamento dell’amministrazione e cresce l’onere degli interessi sul debito, c’è un solo modo per fronteggiare la crisi fiscale, ed è la ripresa della crescita puntando sugli investimenti pubblici necessariamente in disavanzo.
Così l’America fronteggiò la crisi degli anni
trenta col New Deal di Roosevelt. E se questo può apparire un richiamo a
un’epoca remota, sarà sufficiente ricordare che gli Stati Uniti sono usciti
dalla crisi del 2008, immettendo nell’economia dissestata prima 700 miliardi di
dollari per bloccare la crisi bancaria, sotto l’egida del ministro repubblicano
del Tesoro, Henry Paulson; poi 800 miliardi decretati da Obama per il rilancio
dell’economia. La dimensione dell’interveento dell’amministrazione Obama è
stato giudicato insufficiente. Indubbiamente poteva essere più vasto e incisivo
per risanare gli squilibri sociali generati dala crisi. Ma le autorità
dell’eurozona, sotto la guida della Germania, e con la complicità dei
governi francesi di Sarkozy e Hollande ,non hanno adottato misure definibili
insufficienti, ma puramente deflazionistiche destinate ad aggravare la crisi,
paralizzando la ripresa e spingendo la disoccupazione ai livelli più alti
dell’ultimo mezzo secolo.Il risultato della politica europea è alla luce del
sole. L’eurozona è l’area con la più bassa crescita nel mondo sviluppato. E'
l’Italia Ia vittima sacrificale più illustre, guidata da governi complici della
politica ciecamente deflazionista di Bruxelles e Francoforte. Il nuovo governo
è nato sulla promessa di rompere questa complicità.
Non sarà facile. Qualche cifra può aiutare a
illuminare il quadro. Secondo lo schema concordato dal passato governo con le
autorità dell’eurozona, il disavanzo di bilancio dovrebbe scendere allo 0,8 per
cento nel 2019 per azzerarsi nell’anno successivo. Come dire, in un paese con
la più bassa crescita dell’Unione europea, un salasso micidiale. Il nuovo
governo è intenzionato a opporsi ai diktat dell’eurozona. In un’economia
agonizzante, con una crescita in corso inferiore all’1 per cento, l’obiettivo
del pareggio del bilancio è privo di senso.
Il segnale è importante. Assumendo un obiettivo di
disavanzo compreso fra il due e il tre per cento per i primi anni della muova
legislatura, si renderanno disponibili fra 30 e40 miliardi l’anno per nuovi
investimenti in grado di rilanciare la crescita e l’occupazione. Il debito in
cifra assoluta tenderà inizialmente a crescere, ma a medio termine il suo
valore si ridurrà in relazione al PIL. Il nuovo governo dovrà misurarsi con la
critica interna condotta dalla quasi totalità della stampa nazionale e con
l’opposizione delle autorità dell’eurozona. Ma un cambio di rotta rispetto al
passato appare possibile. Se si realizzerà ne trarrà vantaggio non solo
l’Italia, ma l’Unione europea e la stessa eurozona.
Antonio Lettieri è stato segretario
confederale della Cgil. Attualmente è presidente del Centro internazionale
Studi sociali (Ciss).
*
da www.insightweb.it settembre 2018
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