Il governatore della Bassa Sassonia, della Spd, si è
dimesso: è emerso che durante il Dieselgate ha permesso che i suoi discorsi
venissero corretti da Volkswagen. Di cui lo Stato è azionista. Nella Cdu della
Merkel è scoppiato il caso di Eckart Von Klaeden, suo ex collaboratore passato
alle pubbliche relazioni di Daimler: avrebbe influenzato le decisioni sulle
nuove regole europee sui diesel
di Alessandro Ricci *
Lo scandalo
delle emissioni truccate da parte delle case automobilistiche sta
scuotendo il mondo politico tedesco e sta facendo emergere i problemi del suo
capitalismo. Porte girevoli, collusione da parte di politici di
grande rilievo e atteggiamento blando da parte del governo, potrebbero
rivelarsi fondamentali al momento della scelta del nuovo cancelliere tra
meno di due mesi.
Il tutto
parte dalla scoperta, nell’ottobre del 2015, di un software che permette di truccare
le emissioni delle auto Volkswagen e che nel luglio 2017 si allarga a
tutte le case automobilistiche tedesche. A questo si aggiunge un presunto cartello costituito dai principali
costruttori. Un’intesa per mantenere alti i prezzi dei
veicoli in conflitto con le leggi sulla concorrenza di Bruxelles e su
cui la Commissione europea sta indagando. Nell’arco di due anni lo
scandalo si è allargato a macchia d’olio e sta portando alla luce i punti
deboli di un’industria legata a doppio filo alla politica. In un Paese che da
un lato promuove la normativa anti inquinamento, dall’altro è fin troppo
indulgente con le proprie industrie automobilistiche che non rispettano gli
standard europei.
In seguito
all’allargamento dello scandalo, il governo ha deciso di organizzare un
incontro con le grandi case automobilistiche, Daimler, Volkswagen,
Porsche, BMW e Audi, per trovare una soluzione e
scongiurare un possibile blocco dei veicoli con propulsore Diesel non a norma e
che non rispettano le normative europee. Il risultato del summit, tenutosi la
scorsa settimana, è stato un accordo che permetterà ai grandi produttori di
auto di poter aggiornare il software di 5 milioni di veicoli e di
contribuire ad un fondo per i trasporti che miri a ridurre le emissioni
inquinanti. L’esito ha lasciato a bocca aperta le associazioni di
consumatori che innanzitutto non sono state invitate e, in seconda battuta,
si sono lamentate con il governo per la misura che comunque non riporterà le
emissioni ai livelli prestabiliti dalla legge.
Le
iniziative del governo arrivano dopo che l’ombra dello scandalo ha iniziato a
travolgere alcuni esponenti politici. Negli ultimi giorni il primo ministro
della Bassa Sassonia in carica, Stephan Weil della Spd, si è
dimesso in seguito alla perdita della maggioranza, formata da Verdi e Socialdemocratici,
nel parlamento del Land. Il politico si è ritrovato in minoranza in seguito
alla defezione di un parlamentare verde profondamente critico nei confronti del
presidente del Land incappato in uno scandalo che riguarda la sua presenza nel
board di Volkswagen. Durante lo scoppio dello scandalo nel 2015, ha rivelato la
stampa tedesca, Weil ha permesso che i suoi discorsi venissero corretti
dall’azienda di Wolfsburg e si è espresso in maniera molto mite nei confronti
dell’azienda. Il fatto è ancora più importante in quanto il Land è proprietario
del 20% delle azioni di Volkswagen.
Ma se da
questo scandalo la Spd non esce pulita, il partito di Angela Merkel non
è da meno. Infatti Eckart Von Klaeden, politico conservatore che ha
lavorato nel ristretto circolo di potere della cancelliera fino al 2013 ed è
poi passato al settore delle pubbliche relazioni di Daimler, avrebbe
influenzato la decisione del governo di Berlino nel periodo in cui a Bruxelles
si decidevano le nuove regole in merito ai test sulle vetture diesel. Von
Klaeden avrebbe sfruttato i propri contatti affinché il governo tedesco
adottasse una politica differente in Europa. Era l’ottobre 2015 e si discuteva
del sistema RDE (Real Driving Emission), che richiedeva che le auto
prima dell’omologazione andassero testate su strada per verificarne le
emissioni. In seguito a questi contatti, il governo tedesco cambiò posizione.
Altro caso
emblematico è quello di Matthias Wissmann, ministro dei Trasporti ai
tempi in cui Angela Merkel era al dipartimento per l’ambiente, passato poi alla
presidenza della Vda, l’associazione automobilistica tedesca. Lo stesso
si può dire di Thoms Steg, vice-portavoce del governo per 7 anni poi
passato a Volkswagen svolgendo la posizione di lobbista. Tutte queste
connessioni dimostrano che il capitalismo tedesco si nutre e si è nutrito di un
sistema di porte girevoli e di un forte legame tra lo stato tedesco e la sua
industria più prolifica, grazie ad una politica piuttosto consenziente, spesso
elusiva dello stato di diritto.
Quello che
emerge è chiaramente un atteggiamento corporativo da parte dei
produttori tedeschi, che per anni hanno truccato i dati sui gas di scarico
avvelenando l’aria non solo in Germania, ma in tutta Europa, potendo godere di
un regime speciale da parte del governo tedesco. A questo punto c’è da
chiedersi quali saranno le conseguenze politiche di questo scandalo. Sembra
chiaro che entrambi i maggiori partiti siano stati toccati in un modo o
nell’altro: Spd in Bassa Sassonia, dove le elezioni anticipate si terranno ad
ottobre, Cdu con i vari contatti e i vari passaggi dal governo
all’industria privata.
I sondaggi
sembrano non essere mutati, nonostante il 72,8% dei cittadini, secondo un sondaggio
del quotidiano Die Welt, sia a favore di misure più dure nei confronti
delle case automobilistiche. La Cdu di Angela Merkel si attesta ormai al 40%
dei consensi, con un distacco di 17 punti percentuali dalla Spd di Martin
Schulz, che ha perso definitivamente lo slancio ricevuto a febbraio e
sembra non trovare la giusta strategia per una rimonta ormai insperata. Stabili
tutti gli altri partiti, anche i Verdi, che con il proprio leader, Cem
Ozdemir, hanno provato a lanciare un’invettiva contro la politica collusa
con l’industria dell’auto e che potrebbero effettivamente guadagnare da questa
situazione. Molto dipenderà da come evolverà lo scandalo e cosa emergerà prima
del 24 settembre, giorno in cui si terranno le elezioni.
Certo è che,
alla luce di questi fatti, l’immagine, sia dell’industria tedesca che del
governo, non esce così pulita e, che i richiami di Angela Merkel al G20 per
trovare un accordo sul clima e le sue critiche contro Donald Trump iniziano
a sembrare poco più che uno spot.
* da
ilfattoquotidiano.it, 11 agosto 2017
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