Abbiamo il dovere di
preoccuparci di questa “generazione 100” che è cominciata a venire al mondo in
questo terzo millennio e che pagherà per
intero nei successivi 100 anni tutti i nostri errori.
di Massimo
Marino
Secondo notizie di stampa la Gran Bretagna attuerà il
divieto di vendita di auto con motori endotermici diesel e a benzina, compresi gli ibridi a
doppio motore termico ed elettrico, entro il 2040. In Francia
il nuovo ministro dell’ambiente Nicholas Hulot
ha dichiarato a inizio luglio di voler mettere al bando le auto a benzina e
quelle diesel entro la stessa data. Già un anno fa la Norvegia aveva
preso lo stesso impegno addirittura per il 2025, seguita dall’Olanda. Anche il
ministro dei trasporti indiano ha dichiarato, un po’ coraggiosamente, che dal
2030 le elettriche entreranno nel mercato indiano della mobilità.
I programmi di abbandono dei derivati del petrolio e di
altri fossili nella mobilità sono accompagnati da altre misure e obiettivi di
contorno: parco adeguato di centraline di ricarica, batterie più efficienti,
sgravi fiscali, sovvenzioni statali, un po’ di piste ciclabili, nuove aree
pedonalizzate, pedaggio di accesso ai centri urbani.
Obiettivo di queste misure, collegate agli impegni più
o meno stringenti di Cop 21, è quello di limitare le emissioni, ridurre gli
inquinanti, frenare la crisi climatica. Niente di nuovo per la verità. Il tema
è all’ordine del giorno da 20 anni. Le dichiarazioni di intenti sono state
abbondanti. Ma nella realtà siamo andati nella direzione opposta e la novità è
che oggi le conseguenze di scelte sbagliate cominciano a farsi sentire nella
vita quotidiana. Forse molto prima di quanto previsto.
Venti anni fa si accusava gli ecologisti di
catastrofismo. Un certo numero di irriducibili lo fa ancora oggi. Ma la vera
catastrofe, a 20 anni di distanza, è che sono scomparsi gli ecologisti, o per
lo meno la loro rappresentanza politica nelle istituzioni si è dimostrata poco influente e poco affidabile in varie zone del pianeta. C’è una cultura ecologista diffusa,
numerose associazioni, qualche partitino verde. Le analisi e le proposte sono troppo superficiali, gli impegni non sempre attuati.
La realtà, purtroppo, riporterà comunque l’ecologismo alla ribalta e non sarà un
ecologismo divertente.
Alcuni sondaggi usciti di recente in vari paesi indicano
che insieme a Isis e Migrazioni di massa il Climate change (genericamente
vissuto come inquinamento e collegato sempre più alla mobilità più che alle industrie)
è di gran lunga la preoccupazione principale dei cittadini. Fanno eccezione
alcuni vecchi scienziati alla Zichichi, il neo presidente degli USA e
naturalmente i petrolieri e padroni dell’automotive internazionale che influenzano
però gran parte dei governi del pianeta e non hanno nessuna intenzione di
cambiare mestiere.
Che l’auto elettrica, a cui personalmente non credo,
possa diventare l’affare di questo secolo su cui buttarsi non è ancora
convinzione di tutti. Dichiarazioni e impegni di vari paesi sul clima non vanno
presi molto seriamente, in gran parte sono parole al vento accompagnate da
politiche che vanno in direzione esattamente opposta. Il caso italiano insegna.
Ma se anche l’opzione della mobilità elettrica si facesse strada, illudendoci
che sia la soluzione, i cambiamenti sarebbero irrilevanti, anzi pericolosamente
illusori perché inefficaci. Semplicemente nei prossimi 20 anni perderemmo
l’occasione di fermare la crisi ambientale del pianeta. Entreremmo fino in
fondo in una nuova era geologica che alcuni chiamano già Antropocene. Porterà
inevitabilmente ad un drammatico cambiamento della vita delle nuove generazioni
che si sono già affacciate alla vita in questo secolo. Abbiamo il dovere di
preoccuparci di questa “generazione 100” che è cominciata a venire al mondo in
questo terzo millennio e che pagherà per
intero nei successivi 100 anni tutti i nostri errori.
Proviamo a fare il punto della situazione e trovare
qualche soluzione possibile partendo dai numeri che conosciamo.
1. Come stà il petrolio? Benissimo, grazie.
Siamo a 20 anni dal protocollo
di Kyoto (dicembre 1997) il trattato internazionale in materia ambientale
riguardante il surriscaldamento globale redatto da 180 paesi in occasione della
Conferenza "COP3" delle Nazioni Unite . La decarbonizzazione delle
fonti energetiche è diventata, con il recente Cop21 di Parigi, il centro del
problema: l’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2 che vuol dire bruciare meno
fossili ( petrolio, gas, carbone ) ma anche biomasse
( ad esempio boschi e foreste) con la speranza di ridurre almeno in parte la
concentrazione di CO2 ( arrivata ai 400 ppm in pochi anni) e ridare sfogo alla
radiazione termica bloccata dalla barriera di CO2.
A 20 anni dal primo impegno dove siamo?
Prendiamo a esempio solo gli ultimi anni: la produzione
mondiale di petrolio è stata di 91mila barili al giorno nel 2013 passata a
93mila nel 2014. Con gli ultimi due anni siamo a circa 100mila b/g.
Il prezzo del barile tiene: dopo i picchi a 110-120
dollari dell’inizio anni 80 (guerra Iran/Iraq) e nel 2008 ( crisi economica
mondiale) e le discese a 20 dollari nel 1973 ( crisi petrolifera) e fine secolo
(due guerre del Golfo), un barile ( 159 litri) oscilla in prevalenza attorno al
dato storico di 40 dollari.Da notare che circa il 55% del petrolio finisce nei serbatoi dell'insieme dei mezzi di trasporto.
Anche la produzione mondiale di carbone, se facciamo
riferimento al 2013, al contrario di quanto molti immaginano continua ad
aumentare ed è dato per scontato che continuerà a salire fino al 2020 e oltre.
La ragione è semplice: costa poco ed ha un alta garanzia di approvvigionamento,
in quanto, al contrario del petrolio, non è concentrato in poche aree
politicamente instabili del pianeta ma lo si trova in almeno 100 paesi. Si
stima che le riserve accessibili siano come minimo tre volte quelle del
petrolio. Insieme agli scisti è fortemente inquinante nell’estrazione e ancora
di più nella combustione. Metà del consumo è dato dalla Cina e le disastrose
conseguenze di usare carbone senza limiti oltre al petrolio nella produzione
industriale e nella crescente mobilità privata hanno reso invivibili le
principali città del paese.
Dall’inizio del secolo le “nuove” fonti rinnovabili (
fotovoltaico ed eolico ) sono diventate economicamente più competitive e gli
investimenti per la produzione di energia elettrica in alcuni paesi ( Cina,
Usa, India, Giappone) hanno avuto un notevole sviluppo. Quella in difficoltà è
stata la fonte tradizionale da idroelettrico data la crescente scarsità di
acqua ma anche i problemi posti dalle grandi dighe e quindi il passaggio dai
grandi impianti a centraline più piccole. Ma l’apporto complessivo delle
rinnovabili, osteggiate dai produttori tradizionali, resta modesto. Meno del
20% negli usi finali totali ( circa il 24% in quelli elettrici). Ma si tratta
di idroelettrico per quasi tre quarti. Le nuove rinnovabili ( solare ed eolico) si fermano al 7%
del totale.
Determinanti sull’evoluzione dei consumi sono però
principalmente le scelte dei governi ed il loro grado di subordinazione alle
grandi multinazionali dell’energia e dell’auto. Il caso italiano è esemplare:
la politica energetica degli ultimi tre governi (Monti, Letta, Renzi) è stata
così sfacciatamente favorevole ai padroni dell’energia e della mobilità da
invertire, dopo anni, la lenta salita delle rinnovabili che, in controtendenza
rispetto a parecchi altri paesi del mondo, in Italia stanno ritornando di molto
al di sotto del simbolico traguardo del 50% dei consumi elettrici totali che
sembrava a portata di mano ( siamo tornati al 34% ). Ed anche le emissioni tendono a
risalire.
Solo la presidenza Trump e gli Stati Uniti sembrano in
grado di fare di peggio. Ma già sotto la presidenza Obama si era confermata la
vecchia supremazia dei petrolieri con un massiccio investimento di 2000 miliardi
di dollari in gran parte nel campo del fracking ( passando dai 23mila pozzi del
2000 ai 330mila del 2015). Così gli USA hanno conquistato il primo posto nel
mondo nella produzione petrolifera superando dal 2014 l’Arabia Saudita e la
Russia.
2. Ma a che servono le
automobili ?
La crisi climatica e ambientale si intreccia con quella
dei consumi energetici, a volte confusi con i soli consumi di energia elettrica.
La mobilità ha effetti molto diversi a seconda dei vettori e delle fonti energetiche
utilizzate. Analogo discorso varrebbe per il riscaldamento delle abitazioni ,
tema che non viene affrontato in questo intervento.
I fossili e l’automobile, straordinarie novità che hanno
caratterizzato il secolo scorso, sono gli strumenti con i quali ci siamo
incatenati in una prigione, apparentemente piena di confort, da cui è difficile
però evadere. Quasi un perfetto labirinto, all’interno del quale siamo
apparentemente liberi, ma senza
possibilità di uscirne.
Cioè la mobilità
è al centro di qualunque attività umana, il vettore inevitabile è l’automobile, la fonte del movimento sono
i fossili. Questo schema viene considerato immodificabile anche se sempre più
palesemente insostenibile. I padroni del mondo sono quelli che governano e
dettano le regole di questo schema e questo potere ne determina l’assoluta
supremazia sul pianeta.
C’è un modo realistico di rompere questo schema, abbattere
questo labirinto ed evitare l’incubo che sovrasta minacciosamente le
generazioni future, quelli che sono già nati in questo secolo e, potenzialmente
potrebbero viverlo per i prossimi interi 100 anni?
Secondo il rapporto Ward nel 2010 abbiamo superato il
miliardo di autoveicoli nel mondo (compresi furgoni e camion ). Secondo il
rapporto Narigent già nel 2014 eravamo a 1,2 mld e nel 2035 supereremo i 2
miliardi di autoveicoli.
In realtà nei paesi sviluppati il tasso di crescita
dell’auto ha rallentato (per fortuna!) pur con grandi differenze fra paese e paese. Ma in nessun paese si è fermato e tantomeno è
calato il numero di auto circolanti. E’ noto che l’Italia, insieme agli USA,
ma con una ben diversa densità demografica, detiene il triste primato del
maggior numero di auto per abitante del mondo (circa 62 auto/per 100 ab.) . Conseguenza del
peso delle società automobilistiche dal dopoguerra e della scarsa
responsabilità delle classi dirigenti,
di destra e di sinistra, che ci siamo scelti negli ultimi decenni.
Invece in paesi come la Cina e l’India l’auto è una novità
emergente degli ultimi anni. La Cina ad esempio ha attualmente circa 1,3
miliardi di abitanti su un totale di più di 7 nel pianeta ma ha “solo” 150
milioni di auto (circa 11 auto/ per 100 ab.). Senza un cambio di strategie arriverà ad un
miliardo di auto entro il 2035. Una
stima quasi analoga viene fatta per l’India.
È in conseguenza di questo quadro che vengono fatte anche ipotesi
terrificanti per le quali, se non si cambia direzione, potremmo arrivare a 5
miliardi di veicoli nel mondo entro il 2050. Praticamente un suicidio di massa
più o meno inconsapevolmente programmato.
Questa possibilità diventa più comprensibile se si
osservano le stime sulla evoluzione demografica per i prossimi decenni. La
popolazione del pianeta è stimata oggi a quasi 7,5 mld di persone. Abbiamo
raggiunto circa 1 mld due secoli fa (inizio ‘800). Nel 1900 eravamo 1,6 mld,
nel 2000 si è raggiunto i 6 mld. Il tasso di crescita annuo ha raggiunto
l’apice nel 1964 e poi ha cominciato lentamente a scendere ed oggi si è quasi
dimezzato. Si stima comunque che, in assenza di eventi non prevedibili oggi,
nel 2100 si raggiungerà, uno più uno meno, i 10 mld di persone. È noto il forte
squilibrio geografico di questa evoluzione demografica, tutta sbilanciata verso
Asia e Africa che vedranno gran parte dei nuovi nati in questo secolo, così
come è certo che l’unica area geografica che vedrà una diminuzione della
popolazione è quella dell’Europa.
Non è chiaro cosa mangeranno 10 mld di persone ma è sicuro
che se le scelte del pianeta verranno dominate dalle sorelline dei fossili
(Saudi Aramco, China Petroleum, Exxon USA, Shell olandese, BP inglese..) e le
cuginette dell’auto ( Toyota, Volksvagen, General Motors, FCA .. ) e i
rappresentanti politici nelle 10 nazioni più importanti del pianeta avranno la
penosa qualità di quelli attuali, nel corso di questo secolo avremo almeno
altri 3 miliardi di persone che avranno grandi difficoltà ad acquisire un
decente benessere ma sentiranno l’irresistibile bisogno di avere un automobile.
Tecnologicamente l’auto è un prodotto del secolo scorso
così come lo sono le fonti fossili almeno per la parte usata per produrre energia
cinetica e carburanti. L’estrazione di 100mila barili di petrolio ed
equivalenti al giorno e la vendita di 25mila autoveicoli al giorno è una fonte
di ricchezza enorme e cambiare modello trova molti oppositori.
Se si considera i 196 Stati sovrani del mondo il loro PIL,
inteso come valore di tutti i prodotti finiti e servizi prodotti in un dato
anno ai valori di mercato correnti, convertiti al dollaro statunitense al tasso
di cambio ufficiale è pari per l’anno 2014 a circa 77.000 bilioni di dollari (per
bilione si intende qui “mille miliardi” corrispondente al trilione
anglosassone) .
Il PIL mondiale dell’insieme delle attività petrolifere si
attesta sui 3.000 bilioni di dollari, che supera ampiamente il PIL di oltre 131
Stati su 196 del Pianeta che è pari a poco più di 2000 bilioni di dollari. Senza
contare le riserve in ogni Paese che ogni anno vengono integrate.
Almeno un miliardo di persone ogni giorno nel mondo
muovono un macchinario costituito da ferro, ghisa, acciaio e plastica, con un
peso variante dai 900 kg di una utilitaria come la Panda ai 1800 kg ( quasi 2
tonnellate) di un normale SUV, per svolgere le loro più diverse attività.
Mediamente nelle auto circolanti sono a bordo meno di 2 persone. La metà circa
ha una sola persona a bordo. Naturalmente più l’auto è pesante maggiore è il
consumo di idrocarburi ( benzina, gasolio per motori diesel, gpl o metano). I
motori prevalenti nel mondo sono quelli diesel anche se ritenuti i più inquinanti specie
per la produzione di particolato, oggi all’attenzione a seguito dello scandalo dieselgate. Che grandi multinazionali abbiano l’impudenza
di falsificare il livello di emissioni non sembra aver stupito molti ammiratori
dei diesel, in testa nelle vendite per anni, anche se per la verità c’è chi sostiene
che il 40% circa del particolato è prodotto dall’usura dei freni e dei
pneumatici.
Ad ogni fiera dell’auto vengono presentati nuovi modelli
più potenti, più attrezzati, più grandi e più veloci. Nell’ultimo salone di
Ginevra del marzo scorso con 99 anteprime mondiali e 29 anteprime europee la
quasi totalità dei modelli erano di
grande potenza, peso e velocità, sempre a benzina o diesel.
Dalla fine degli anni ’80 è iniziata la diffusione dei
modelli SUV ( Sport Utility Vehicle )
nati nel dopoguerra in USA con le note caratteristiche di avere potenza,
dimensioni ( e peso) superiori alle station wagon e con la trazione diretta su tutte le quattro ruote.
Adatte quindi per terreni e salite accidentate in campagna o montagna. Le aziende
dell’auto le hanno progressivamente abbellite e riempite di opzional fino a
farle diventare attraenti ai più e si dice desiderate e acquistate in funzione
di uno status symbol che mi sfugge.
Il nostro Marchionne sembra abbia accennato in questi giorni alla possibilità
di un SUV marchiato Ferrari. Un evento che molti aspetteranno con ansia. Singolare il relativo
successo dei finti SUV a ruota alta, i cosiddetti “Crossover SUV “ non sempre
consigliabili nel fuoristrada perché in realtà hanno le ruote alte ma non la
trazione diretta sulle quattro ruote. Ottimi però per guardare dall’alto il panorama
mentre si procede nelle consuete colonne di auto in coda nel centro città alle
8 del mattino.
Le multinazionali dei fossili e quelle dell’auto non hanno
alcuna intenzione di cambiare i modi della mobilità per ovvi motivi e non sono
particolarmente preoccupati del destino di quella che io chiamo “ la generazione
100 “, i nati di questo secolo che ne vedranno di tutti i colori. Sono
interessate però alla diversificazione e costrette in qualche modo a trovare
delle difese atte a garantire la loro sopravvivenza nel secolo in cui andrebbe
invece dichiarata la loro definitiva obsolescenza.
Il solo passaggio ai motori che utilizzano gpl e metano,
già noti alla fine della 1° guerra mondiale, è pressoché fallito. I motori a gpl o metano nella maggior parte dei paesi del mondo
neppure esistono. Nel nostro paese non più del 10% del parco auto li
utilizza. Anche le auto elettriche di
cui si parla già da un decennio sono state praticamente ignorate fino ad oggi a causa del
prezzo inaccessibile ai più ( almeno 35mila euro nei modelli più piccoli ed economici
con gli incentivi), della scarsa autonomia ( sotto i 300 km, 400 nei modelli in
uscita), dei tempi di ricarica delle batterie ( almeno 5-10 ore anche se l’obiettivo è la
ricarica in meno di un ora). Con una pressante operazione di marketing se ne
tenta negli ultimi mesi il rilancio per mantenere quella frazione di mercato
fatto da persone che dopo il dieselgate
hanno aumentato i loro dubbi che l’auto sia il più gettonato dei loro desideri
e da qualche ambientalista un po’ superficiale che immagina di dare il proprio
personale contributo alla generale ingenuità.
Non c’è un solo osservatore serio e onesto che creda alla
favola dell’abbandono dei carburanti fossili entro 20-30 anni. Le elettriche
totali e le ibride cercheranno di coprire quella nicchia di mercato ( 5-10% nei
prossimi 10-15 anni ) di chi può permettersi di spendere il doppio del normale
per comprare un’ auto di taglia media molto cara che però avrebbe il vantaggio
di essere silenziosa, un po’ alla moda, magari
esibita da qualche amministratore comunale che vuole fare bella figura.
Recentemente la Nissan, per mostrarsi di tendenza, ha donato anche alla sindaca
di Torino Appendino e a Di Maio un modello elettrico con la speranza che anche
loro entrino nella lunga lista degli ambientalisti sui generis.
Tutti fanno finta di non sapere, alcuni proprio non ci
pensano, che se per un miracolo della bacchetta magica di Harry Potter da
domani l’intero parco auto italiano ( 37 mil. di vetture) si tramutasse in elettriche
dovremmo aprire d’urgenza un certo numero di centrali a carbone, oltre a quelle
superinquinanti a olio. Perché le auto
elettriche vanno a petrolio, gas o carbone, che producono l’energia elettrica fornita
alle centraline di ricarica delle
batterie, senza contare la dispersione sulla linea dalla centrale alla singola centralina.
Non c’è ad oggi alcuna possibilità di rilievo che in un futuro prossimo le
elettriche autoproducano l’energia occorrente con pannelli fotovoltaici sulla
carrozzeria che al massimo fornirebbe la potenza per alimentare una lavatrice o
un frigorifero ma non per muovere un macchinario da 1000 kg. Nei prossimi anni
si venderanno nel mondo alcuni milioni di elettriche, qualche decina di milioni
di ibride particolarmente adatte, per chi se le può permettere, per circolare
senza rumore e senza emissioni locali che però verranno ovviamente prodotte alla
fonte.
Tutto ciò non avrà effetti significativi sulle tre
questioni che rendono il futuro dell’auto insostenibile e cioè:
1) l’accumulo di
emissioni di CO2 con i suoi effetti sul climate
change e il rischio salute a causa delle polveri sottili.
2) la progressiva paralisi del traffico nelle aree
urbanizzate se continua l’aumento di auto circolanti, con l’aumento dei costi e
l’allungamento del tempo di vita impegnato a bordo dell’auto individuale.
3) il costo in vite umane dovuto in prevalenza alla
circolazione sui mezzi privati che è altissimo ma sempre dimenticato, superiore ogni
anno ad un milione di morti e molti milioni di feriti ( molti di più di quelli causati annualmente dalla somma di tutte le guerre
e guerriglie nel mondo ). Nell’anno 2016 si è raggiunto 1,3 milioni di
morti, in prevalenza in Africa e Asia dove le condizioni della sicurezza
stradale sono peggiori. In Italia abbiamo contato 3300 morti e circa 250mila
feriti.
In alcuni paesi del Nord Europa particolarmente benestanti
come Norvegia, Svezia, Paesi Bassi, grazie a incentivi statali consistenti, le
auto elettriche hanno occupato una quota un po’ più consistente del mercato
provocando in alcuni casi la riapertura di alcune centrali a carbone. Complessivamente
si stima che ci siano ad oggi circa due milioni di elettriche nel mondo (circa
lo 0.2% sul totale).
E’ invece degna di interesse la Tesla, l’azienda americana
dell’infaticabile creativo Elon Musk che stà preparando con grande impegno
pubblicitario il lancio della nuova Model 3. Le attese si sono un pò spente
quando si è chiarito che non costerà attorno ai 30mila euro ma con la batteria
potenziata per arrivare ad una autonomia vicina ai 500 km si avvicinerà ai
50mila euro. Non proprio “ l’auto per tutti “ o “ l’auto del secolo” dichiarato
dal sudafricano-californiano Musk , noto per la presenza in una molteplicità di
iniziative, non sempre di successo, dalla SpaceX per lanciatori di razzi orbitali,
alla PayPal per pagamenti internet, da SolarCity nel campo del fotovoltaico, fino alla Tesla
Motors che ha già lanciato un SUV ed una
sportiva elettrica. Musk, che viene considerato un imprenditore ambientalista, stà
costruendo in Nevada la Gigafactory, una gigantesca fabbrica di batterie per
auto elettriche per avere l’egemonia in nuove batterie al litio a ricarica
veloce.
Però l’ obiettivo davvero interessante dichiarato da Elon
Musk, ( ad esempio con l’intervista a Leonardo Di Caprio nel documentario sul
riscaldamento globale Punto di non ritorno –
Before the Flood
), è quello di sviluppare batterie al litio con grande
capacità di accumulo in modo da rendere
possibile la loro ricarica con pannelli solari, superando la centrale
termoelettrica e parte delle perdite di percorso sulla linea di distribuzione. Al momento si tratta del progetto di certo più interessante avviato
anche se è difficile dire quanto tutto ciò potrà influire sulla crisi climatica
e ambientale che caratterizzerà sempre più i prossimi decenni di questo secolo.
Lo stesso Musk, che in questi giorni ha ritirato la propria disponibilità a
collaborare nelle equipe di Trump, ha dichiarato che servirebbero 100
Gigafactory per cambiare il destino dell’auto nel mondo.
3. Ma c’è un punto di
vista ambientalista sulla crisi del
secolo?
Nel campo ambientalista, in tutto il mondo, c’è grande
difficoltà e qualche confusione nel comprendere la dimensione della crisi in
arrivo, anche se da tempo se ne denunciano le cause. Come sempre fare proposte
fattibili ed efficaci è oggettivamente complesso; anche per le grandi differenze fra i paesi più ricchi e
sviluppati rispetto a quelli più poveri dove spesso la crisi climatica si
abbatte già oggi in vaste aree dove si svolgono anche conflitti irrisolvibili
da decenni e dilaga siccità, fame e carestie.
Un nuovo ecologismo, sempre più
necessario, non può non assumere il tema ambientale senza coniugarlo con il
tema delle migrazioni, delle guerre e della precarietà sociale con una propria
specifica ed originale elaborazione di proposte che non può coincidere a
seconda dei momenti con quella delle varie destre e sinistre del momento. Ma è questo
un tema da affrontare in altra occasione.
Negli anni ’70 i nascenti movimenti ambientalisti in
Occidente hanno promosso grandi mobilitazioni contro la tecnologia nucleare che
hanno ottenuto alcuni successi in seguito ai tre noti incidenti di rilievo: Three
Mile Island ( 1979) , Chernobyl (1986) , Fukushima ( 2011), ai referendum vinti
in Italia ( 1987 e 2011) e soprattutto per i costi crescenti del ciclo nucleare.
Al contrario di quanto spesso si afferma il nucleare non è affatto finito: 440
centrali (sempre più obsolete) continuano a funzionare e minacciare il mondo ma
in vari paesi si prevede ancora nuovi impianti. Sono 65 quelli in costruzione,
addirittura
giustificati proprio dal problema del clima, ma avranno un futuro economico
solo se si fermerà lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Il bello arriverà nella
seconda parte di questo secolo quando il materiale irradiato di centinaia di
centrali obsolete dovrà in qualche modo essere messo in sicurezza.
Nell’ultimo decennio ha avuto un notevole successo il
cosiddetto “ problema dell’ acqua pubblica” che al di là della sua reale
dimensione in Occidente (che è invece drammatica in molti paesi dell’Africa e
dell’Asia) ha assunto un forte valore simbolico come emblema dei cosiddetti “beni
comuni “e della voracità e inefficienza delle privatizzazioni. Sul tema però è
rimasto troppo ai margini l’aspetto riguardante la necessità concreta di
ridurre le perdite di rete, aumentare il recupero delle acque piovane,
modificare modi e tempi delle irrigazioni in agricoltura basate sullo spreco
metodico di acqua.
In vari paesi dell’Africa, Asia e America Latina numerosi
leader popolari o indigeni, impegnati per la difesa delle terre dal land
grabbing, per la tutela delle foreste, delle popolazioni indigene, del diritto
all’acqua, della speculazione sul territorio e contro l’inquinamento delle
aziende del petrolio, sono stati attaccati e centinaia di loro sono stati
aggrediti o uccisi . Sono più di 200 gli assassinati nel solo 2016 secondo l'Ong Global Witnes , in una preoccupante indifferenza dei
più.
Insomma
nelle diverse aree del pianeta la crescente sensibilità e preoccupazione di
tipo ecologista si è espressa con impegno nel tempo con temi, forme di lotta e intensità diversi.
Non esiste una internazionale dell’ecologismo, tanto più nelle forme
dell’impegno politico e istituzionale. I Verdi (Green, Grunen etc) sono da
almeno 10 anni in profonda crisi per la difficoltà a mantenere la loro
autonomia dal sistema politico prevalente e dalle sue logiche perverse. Le loro
modeste dimensioni elettorali li rendono quasi irrilevanti. Nelle ultime
elezioni sono spariti anche dal Parlamento francese. Non si preannunciano grandi risultati per i Grunen nelle elezioni in Germania di settembre. I temi genericamente
ecologisti riemergono in nuovi soggetti come Podemos in Spagna e il M5Stelle in
Italia ma non sono davvero centrali e sufficientemente elaborati nei loro
programmi. Le stesse associazioni storiche tipo Greenpeace svolgono efficaci
campagne di sensibilizzazione ma hanno scarse ricadute istituzionali e
legislative.
Sulla
crisi climatica, l’abbandono dei fossili, l’accelerazione delle rinnovabili,
una mobilità pubblica, collettiva, economicamente gestibile, sarebbe possibile
invece, a tutte le latitudini del pianeta riproporre una conversione economica
e sociale, una convergenza di intenti di ampi settori sociali su alcune grandi
battaglie fra loro legate.
La
prima è l’abbandono progressivo dei
fossili nella produzione industriale
ed agricola e nella mobilità. Nessuna
grande opera che impegni risorse ingenti è sostenibile in nessuna parte del
mondo se non viene concepita, programmata e resa esecutiva con un vantaggio esplicito
attinente alla tutela ambientale che è la misura della sua reale sostenibilità
e utilità.
La
seconda è la dichiarazione esplicita che l’era
dell’auto, intesa come forma prevalente di mobilità individuale, va superata attraverso
lo sviluppo di tutte le altre forme di mobilità più collettiva, più sostenibile
e meno inquinante. Dalla bicicletta, al risciò,
dal tram al treno, ma prima di tutto ampliando le reti metropolitane nelle grandi e medie città. Sviluppando
le tecnologie che, oltre ad un trasporto collettivo, permettano il movimento
almeno in parte attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili.
E’
singolare che le reti metropolitane siano comparse in alcuni paesi fin dalla
fine dell’800 indicando la giusta direzione. Londra già nel 1863 inaugurò la prima
tratta, seguita da Mosca, Berlino e New York. Lo sviluppo delle reti proseguì
fino al secondo dopoguerra. Già la questione ambientale si era resa evidente a causa del riscaldamento delle case ( carbone), dell’illuminazione
delle strade (a olio combustibile), dello sviluppo industriale diffuso. Ma l’esplosione
dell’auto nelle grandi metropoli ma anche nelle città di media dimensione
cominciò a logorare l’idea che il mezzo pubblico a rete fosse quello
preferibile per il futuro. Erano altri gli interessi emergenti. Anche oggi parecchi ambientalisti si sono bevuti la
favola delle auto elettriche e mostrano indifferenza verso la richiesta di
espandere le reti metropolitane, l’unico
vero strumento in grado di togliere dalle strade milioni di auto e le
conseguenti emissioni. Si preferisce argomentare sulle auto in affitto del car sharing, o altre iniziative. Utili,
anche simpatiche, ma di nicchia tipo
l’auto in comune del car pooling alla
BlaBlaCar. Difficile trovare la diffusione delle reti come obiettivo nei programmi di gruppi e partiti di sinistra ed anche in quelli ecologisti.
Attualmente
ci sono solo 8 città nel mondo con una rete al di sopra dei 300 km: Seul in
Corea del Sud ha la rete più estesa ( 537 Km ) seguita da Shanghai, Pechino ,
Canton. Delhi è l’unica città dell’India con una rete significativa (110 km) New
York ha 368 km di rete , Mosca 325. Infine in Europa ci sono solo Madrid ( 324
km) e Londra ( 460 km).
Ci
sono un’altra trentina di città con una rete al di sopra dei 100 km fra le
quali Tokyo ( 292), Singapore ( 149), Teheran (140) Chicago ( 173) , San
Francisco (152), Parigi ( 219), Berlino ( 146) Barcellona ( 123), Valencia (
147) .
All’incirca altre 130 città nel
mondo, specie in Asia, hanno reti o singole linee di almeno una decina di km,
fra le quali Manila nelle
Filippine (70 km), Dubai negli Emirati Arabi ( 75 km), in costruzione a Riyad
in Arabia Saudita. In alcuni paesi sono in corso progetti di nuove linee ed
ampliamento delle reti verso le periferie.
Uno studio uscito in contemporanea
con il recente G7 di Taormina sostiene che le fonti rinnovabili non
interessano. Nelle 20 nazioni più industrializzate negli ultimi 3 anni (
2013-2015) si sono stanziati 70 miliardi di dollari l’anno di risorse pubbliche
nei fossili e solo un quarto, circa 18 mld per le rinnovabili.
Deprimente
la situazione italiana: soltanto Milano ha una rete di rilievo (101 km) . Roma
è ferma a circa 60 km, Napoli a 20 km. Torino in coda ha un'unica linea di 13
km. Piccole tratte sono presenti a Brescia, Genova, Catania. I forti interessi
legati all’auto, alle autostrade ed ai derivati del petrolio ci hanno praticamente
lasciati nel secolo scorso impedendo l'avvio di una moderna mobilità. Secondo Legambiente sempre nel triennio 2013-2015 nel nostro paese i fossili hanno ricevuto 2,15 mld di sostegno pubblico e le
rinnovabili solo 123 milioni.
Complessivamente
si può valutare nel mondo a circa 15mila km l’estensione attuale dei sistemi
metropolitani di diversa tecnologia, collocati nel sottosuolo, in superfice o
sopraelevati. Ne occorrerebbero almeno 100mila km urgentemente ma le diverse
lobby fanno blocco per impedire un diverso uso delle risorse.
Da queste alternative dipende il futuro
della “generazione 100”.
(
nella mappa la metropolitana di Seul )
(seguirà bibliografia)