12 ottobre 2024

Berlino è cambiata e non lo ha fatto in meglio

Berlino è sempre cambiata. È la sua stessa natura. A inizio 1900 il critico d'arte Karl Scheffler non a caso pronunciò una frase poi diventata famosa: Berlin ist eine Stadt, verdammt dazu, immerfort zu werden, niemals zu sein e cioè Berlino è una città condannata per sempre a diventare, mai ad essere.

Insomma, è sempre stato così.

È la natura stessa della città, così come Roma è destinata, purtroppo o per fortuna, sempre ad essere così come è (lo dico da romano, oggi a scrivere la newsletter ci sono io, Andrea D'Addio).

Eppure affermare oggigiorno Berlino è cambiata ha un significato diverso, negativo. L'evoluzione a cui va incontro è senza se e senza ma, negativa. C'è meno libertà (lo dimostrano il modo in cui la polizia reprime i cortei), diventa sempre più cara (più di quanto ci si potrebbe aspettare), non ha alloggi dove chi è appena arrivato può andare ad abitare (anche per poco, anche come appoggio) e vi si respira un'aria così così: tutto intorno, infatti, ovvero nel Brandeburgo, con il recente risultato elettorale l'ultra destra di AfD ha dimostrato che intorno alla città, e probabilmente anche dentro, ribollano pensieri non liberali e non democratici.

Per quanto si possa intendere come voto di protesta, dare il proprio sostegno a persone che vanno al carnevale vestiti da nazisti o che parlano di rivedere il senso di colpa tedesco per la seconda guerra mondiale. criticano il Monumento delle vittime dell'Olocausto di Berlino e si fanno finanziare da Putin, significa dare loro una legittimità di esistenza che, se diventasse poi potere, non è chiaro sapere dove finirebbe. 

Non è finita. Dicendo Berlino è cambiata con questa accezione negativa, si intende, forse per la prima volta dalla riunificazione, che tutta la Germania è cambiata. E lo è. Berlino, in un momento se non buio, comunque in controluce, è diventata volente o nolente simbolo del Paese di cui è capitale e non la città meno tedesca di tutta la Germania. 

Vivo qui da marzo 2009 e questa è la mia sensazione. Sono curioso di conoscere la tua. Scrivimi, nel frattempo continuiamo con le altre notizie e consigli della settimana.

Andrea D’Addio dal blog Berlino Magazine info@berlinomagazine.com - 12 ottobre 2024

8 ottobre 2024

Germania: Piazza Wagenknecht per la pace

Militanti, delusi dalla sinistra, pro Pal e No war: a Berlino la manifestazione di Bsw contro l’escalation bellica. La star è Sahra, sul palco un po’ di Linke e Spd. Prova di campo largo?

di Sebastiano Canetta *

La Riunificazione di Sahra Wagenknecht. Piccolo report senza grandangolo del “campo-largo” di Berlino nel giorno della festa nazionale, provando a mettere a fuoco l’indefinito popolo della “pace, lavoro e welfare sociale” tornato a muoversi in movimento coordinato. Dal punto di vista politico rappresenta la massa critica della sinistra tedesca per la prima volta di nuovo insieme, perlomeno nel pezzo di percorso che appare possibile percorrere uniti.

Se l’Occidente passa altre linee rosse aumenta il rischio di guerra in Europa. Se si vuole una conferenza di pace seria, allora si deve invitare la Russia (Sahra Wagenknecht )

L’Ucraina ha diritto all’autodifesa. È necessario l’uso delle armi inviate dalla Germania proprio per raggiungere prima possibile la pace (Ralf Stegner Spd)


NELLA GERMANIA-INFELIX colata a picco dalla doppia guerra di Ucraina e Medio Oriente, con Volkswagen pronta a licenziare 30 mila operai, il governo Semaforo sfiduciato da due terzi dei cittadini e Afd diventato il secondo partito nazionale (a 11 mesi alle elezioni per il Bundestag), l’istantanea del manifestazione “Mai più la guerra” parte dal dialogo-battibecco tutt’altro che ideologico fra un impiegato di mezza età con la tessera della Spd contrario agli euromissili di Olaf Scholz, una maestra elementare entrata nel Bsw perché gli unici filo-Palestina e una pensionata della Linke rimasta senza se e ma dalla parte dei rifugiati.

Tre anime spontanee sparse sempre meno a caso fra le 25 mila persone che ieri hanno sfilato davanti alla Porta di Brandeburgo in direzione della Colonna della Vittoria esibendo i più disparati striscioni nonché i più diversi volti.
«Siamo qui per fermare l’escalation bellica»: parla veloce con l’accento della Pomerania a nome dell’intero trio l’impiegato che lavora alla municipalizzata pubblica con lo stipendio «ancora, per il momento, sicuro».

Geneticamente socialdemocratico – «una storia di famiglia da due generazioni» – non ne può più della deriva ultra-atlantista del leader del suo partito “indegno” non solo dell’eredità di Willy Brandt. «Fosse solo la sudditanza agli Usa. Bisogna fermare anche l’invio di armi tedesche a Kiev se vogliamo davvero la Pace», lo punzecchia l’insegnante tornata in piazza, dopo anni di astensionismo, con la nascita dell’Alleanza Sahra Wagenknecht. La stilettata al compagno di corteo tenuto ormai sottobraccio si riferisce al brevissimo discorso del deputato Spd Ralf Stegner salito sul palco del comizio finale poco prima della leader del Bsw e della rappresentante della Linke berlinese, Gesine Lötzsch, i tre volti politici ufficiali del piccolo-grande campo largo di Berlino.

CI VUOLE CORAGGIO per il “pacifista” della Spd, inevitabile incarnazione della maggioranza di governo e perciò costretto a ribadire non si capisce quanto di buon malgrado la «necessità dell’uso difensivo delle armi inviate dalla Germania proprio per raggiungere prima possibile la pace». Raccoglie un’autentica marea di fischi ma Stegner non demorde seppure debba alzare non poco il tono di voce per ricordare che «la Spd rimane comunque nel movimento della Pace».

QUANDO È IL TURNO di Wagenknecht scatta al contrario la standing-ovation. Lei tuona «Se l’Occidente passa altre linee rosse aumenta il rischio di guerra in Europa. Se si vuole una conferenza di pace seria, allora si deve invitare la Russia e il contesto del summit di Ramstein appare profondamente sbagliato. Meglio la Turchia della Germania come Stato neutrale» è la stoccata al governo Scholz, preso di mira anche sotto il profilo della ministra degli Esteri, Annalena Baerbock definita «un rischio per la sicurezza». Poi ringrazia Mikhail Gorbaciov (soltanto lui) per aver reso possibile la riunificazione (di cui si celebra la data trentaquattro anni dopo) mentre avverte che Israele va fermata però «è disumano esultare per i razzi lanciati dall’Iran».

In questo quadro l’unità della sinistra è un’impresa politica, anche se il “modello Berlino” rimane sostanzialmente la sola alternativa, come analizza la pensionata della Linke in corteo secondo cui «quando ci separiamo sulle questioni di base a vincere è solo Afd, che pure è contro il governo, la guerra e la bolletta raddoppiata grazie alla rivoluzione verde. Se non convinciamo i socialisti alla svolta pacifista non saremo in grado di incidere sullo stop alle armi e tanto meno sul negoziato per la pace».

L’argine all’ulteriore escalation – almeno in termini di voti alle urne – per adesso è solo la considerevole altezza boom di consenso per il Bsw. La festa nazionale per il “Giorno della Riunificazione” fra la Germania dell’Ovest e dell’Est, nell’anno prima delle elezioni per il rinnovo della cancelleria, dopo che Sahra Wagenknecht ha (quasi) conquistato il governo del Brandeburgo, corrisponde anche alla sua prima vera celebrazione pubblica come leader degli outsider della politica tedesca, prima ancora della primadonna di Afd, Alice Weidel.

L’EX CAPOGRUPPO della Linke ieri si è dimostrata capace di radunare il suo popolo al parco di Gleisderieck, simbolicamente l’area riqualificata da cima a fondo dalle vecchie e fatiscenti strutture cadute in disuso. A margine della manifestazione per la Pace la leader del Bsw ha provato ancora una volta la sua capacità di calamitare l’ago della bussola politica e mediatica del più importante Paese dell’Ue. Certamente puntandolo su di sé ma anche nella direzione diametralmente opposta al Nord indicato da Washington, Bruxelles e perfino Tel Aviv.

Ieri nella manifestazione snodatasi fra il Viale del 17 Giugno e la Yitzhak Rabin Strasse sventolavano le bandiere palestinesi vietate dalla Ragione di Stato e represse con massima forza dalla polizia. Questa volta, però, è risultato materialmente impossibile interrompere la demo autorizzata nonostante le vibranti proteste dell’ambasciatore israeliano a Berlino, già ampiamente scioccato dal voto di astensione della Germania all’Onu “contro” lo Stato Ebraico. Secondo il diplomatico di punta del governo Netanyahu nella Bundesrepublik «non bastano più le parole a favore della Ragione di Stato» elevata a totem indiscutibile dai tempi di Angela Merkel.

E MENTRE LA SPD è totalmente prigioniera della linea filo Tel Aviv, Wagenknecht ha preso fin da subito la difesa dei palestinesi distinguendosi non poco dalla Linke apparsa invece molto più timida nella condanna univoca e unanime al massacro sistematico di Gaza.

L’ala degli Anti-Deutsch – i sionisti di Sinistra – continua a rappresentare una corrente importante nella Linke specialmente a Berlino e Lipsia anche se numericamente sono in pochi. In buona sostanza, dal punto di vista della base della Sinistra, un conto sono le magliette del club sportivo del Maccabi orgogliosamente esibite nei social dalla sinistra pro-Israel, un altro paio di maniche sono gli emblemi della Israel Defence Force come minimo distonici alla richiesta di pace. Anche questo conta per il successo della colomba Sahra Wagenknecht.

nella foto: Berlino, la manifestazione a Gleisdreieck Park

* da il manifesto – 4 ottobre 2024

5 ottobre 2024

A proposto di migranti e campo largo - I silenzi della sinistra


di Luca Ricolfi *

Chi si augura che il centro-sinistra arrivi unito e preparato alle prossime elezioni politiche (previste per il 2027), forse dovrebbe nutrire qualche preoccupazione per i silenzi del Pd e dei Cinque Stelle in materia di politiche migratorie. Silenzi che sono divenuti assordanti nei giorni scorsi, quando Elly Schlein non ha speso nemmeno una parola sull’incontro fra Giorgia Meloni e Keir Starmer (premier laburista britannico), dal quale era emersa una notevole e imprevista convergenza di vedute in fatto di governo dei flussi migratori.

Quella sintonia ha spiazzato Elly Schlein e Conte, perché la sinistra che Starmer rappresenta, severa con gli immigrati e aperta alle ipotesi di “esternalizzazione” della questione migratoria (come il modello Albania di Meloni e Rama), è lontanissima dalla sinistra che Schlein sta cercando di mettere insieme con Cinque Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

Ma il caso di Starmer non è isolato. La realtà è che in Europa da qualche anno stanno prendendo forma nuovi tipi di sinistra, fondamentalmente differenti da quella che, per decenni, è stata egemone nel Vecchio Continente.

Questi tipi inediti di sinistra si sono palesati poco per volta, a partire dal 2021, quando la Danimarca (governata dai socialdemocratici) ha cominciato a prendere in seria considerazione l’idea di affiancare alle norme molto severe già vigenti nuove procedure di trasferimento dei richiedenti asilo (verso il Ruanda) e dei detenuti stranieri (verso il Kosovo). Da allora i passaggi più significativi sono stati: nel Regno Unito, lo spostamento del partito laburista su posizioni legalitarie per opera di Keir Starmer, successore del massimalista Jeremy Corbyn; in Germania, la fondazione del partito di sinistra anti-migranti di Sahra Wagenknecht (BSW), nato da una costola della Linke (formazione di estrema sinistra); sempre in Germania, la recentissima spettacolare inversione a U della politica dell’SPD del cancelliere Scholtz che – specie dopo il recente attentato di Solingen – ha assunto tratti molto severi (promesse di rimpatrio degli irregolari, ripristino dei controlli alle frontiere); in Spagna, la sinistra socialista di Pedro Sanchez, che dopo l’esplosione degli arrivi dalla rotta atlantica (via isole Canarie), appare sempre più impegnata a rallentare le partenze e rafforzare i rimpatri.

Oltre a questi sviluppi, è il caso di ricordare la lettera alla Commissione Europea inviata a maggio di quest’anno dai governi (alcuni progressisti) di ben 15 paesi europei su 27, in cui si prospetta non solo un rafforzamento della politica dei rimpatri, ma pure la cosiddetta esternalizzazione delle frontiere (in stile Italia-Albania), con la creazione di hub in cui rinchiudere parte dei richiedenti asilo.

Che cosa c’è, alla base di queste metamorfosi all’interno del campo della sinistra?

Probabilmente non una cosa sola, e comunque non la medesima nei diversi paesi. Un fattore è sicuramente il recente (2023) aumento degli arrivi irregolari su specifiche rotte, un aumento che seguiva altri aumenti nei 3 anni precedenti. Un altro fattore è il moltiplicarsi di episodi di violenza o terrorismo messi in atto da stranieri. Ma il fattore cruciale, verosimilmente, sono i crescenti successi elettorali delle destre anti-immigrati nella maggior parte dei paesi europei, un trend che non può non preoccupare le forze di sinistra.

In alcuni paesi, i dirigenti della sinistra si stanno rendendo conto che la questione migratoria non può più essere elusa con formule – accoglienza, integrazione, diritti umani – tanto generose quanto incapaci di andare al nocciolo dei problemi. Che sempre più sovente non sono solo economici, o di sicurezza, ma sono di identità delle comunità locali, messe a dura prova dalla concentrazione di immigrati (spesso senza lavoro e senza fissa dimora) in specifiche porzioni del territorio nazionale, siano esse le grandi stazioni ferroviarie, i parchi urbani, le periferie delle città, i piccoli centri rurali. Un processo che può far sì che i nativi, specie se appartengono ai ceti bassi, si sentano “stranieri in patria”.

E in Italia?

Qui da noi la sinistra non prova nemmeno ad avviare una riflessione. Ripropone le solite formule, che aggirano il problema anziché affrontarlo. Non perde occasione per demonizzare l’unico politico di sinistra – Marco Minniti – che aveva provato a fare qualcosa (giusta o sbagliata che fosse). Soprattutto, non si chiede come mai, a due anni dal voto, i partiti di destra sono più forti che mai.

Si potrebbe pensare che sia solo cecità, o estrema convinzione di essere nel giusto, o che basti essere nel (presunto) giusto per vincere le elezioni. La mia impressione è che ci sia anche dell’altro. Forse Schlein e Conte si rendono conto che, ove toccassero sul serio il tema migratorio, il progetto del campo largo incontrerebbe le prime difficoltà vere. Tradizionalmente, infatti, le posizioni di Grillo e dei Cinque Stelle sono state sempre ondivaghe, e meno indulgenti di quelle del Pd (dopotutto, è a Di Maio che dobbiamo la formula delle ONG come “taxi del mare”). E questo per una ragione molto semplice: i cinque Stelle, a differenza del Pd, sono radicati nei ceti popolari, e oggi i partiti a base popolare tendono a diventare populisti, e in quanto tali ostili all’immigrazione. Possono adottare ideologie di destra o di sinistra, ma in entrambi i casi tendono a vedere l’immigrazione come un problema.

Può darsi che non parlare mai delle preoccupazioni popolari in tema di immigrazione e sicurezza, o ignorare le idee delle nuove sinistre securitarie in Europa, aiuti a tenere unito il campo largo. Ma resta il dubbio che, a differenza di quel che potrà succedere su altri temi (salario minimo legale e sanità), sulla questione migranti gli elettori progressisti possano non accontentarsi dei soliti slogan e delle solite formule politiche astratte.

* articolo uscito sul Messaggero il 23 settembre 2024