di Roberto Maggioni *
Il giorno dopo un evento estremo si fa quella che viene definita “la conta dei danni”: quantificare economicamente le conseguenze materiali del disastro. Per i nubifragi che hanno colpito la Lombardia si parla di oltre 170 milioni di euro di cui 50 solo a Milano. Ma c’è qualcosa di incalcolabile e non rimborsabile economicamente in quello che è successo martedì notte: la strage degli alberi. Perdere alberi secolari alti cinque piani di un palazzo cambia il paesaggio, l’orizzonte, il suono, gli odori, la luce, l’ombra, la temperatura della zona nella quale hanno vissuto per decenni. A Milano una prima stima dice che sono oltre mille le piante cadute o pesantemente danneggiate. In una città dove crescono indisturbati cemento e palazzi, perdere alberi è un crimine. «Quando tu perdi un albero non solo per riaverlo delle stesse dimensioni dovrai aspettare 30/40 anni, ma lasciandolo in discarica o bruciandolo la Co2 che ha assorbito viene rimessa nell’atmosfera. È una doppia perdita: l’albero e il debito di Co2 in atmosfera sempre più alto», dice Alessandro Pestalozza, l’agronomo che nel 2013 ha salvato 180 olmi in via Mac Mahon dalle motoseghe del Comune di Milano per i lavori di rifacimento dei binari del tram.
Ma perché sono caduti così tanti alberi martedì notte?
Il motivo principale è l’intensità dell’evento. 40mm di pioggia in dieci minuti e raffiche di vento fino a 120 Km/h sono qualcosa di devastante. Sopra ai 110Km/h iniziano a cadere anche gli alberi sani. Nei viali di Milano poi si genera il cosiddetto effetto canyon che moltiplica la forza del vento.
Il cemento, i lavori stradali, le infrastrutture incidono?
Ovviamente influisce anche il luogo nel quale vive la pianta e in città è tutto più complicato per una pianta. È importantissima la manutenzione, mantenere in salute l’albero, scegliere bene il tipo di pianta adatta al contesto nel quale viene piantata.
Cosa bisogna fare per far vivere bene gli alberi in città in questi anni di clima che cambia?
Primo: non bisogna piantare alberi in aiuole molto piccole. Secondo: dobbiamo progettare le piantumazioni come si fa nelle zona ad alto rischio. In Olanda, Germania e Belgio ad esempio c’è l’obbligo di mettere gli alberi in vasche di 50 metri cubi di suolo e quella vasca poi è sacra, non viene più intaccata. La pianta e le sue radici non subiscono più intralci. Da noi invece si tende a passare con cavi, lavori, infrastrutture vicino alle radici e questo indebolisce la pianta. Terzo: le potature. Se si taglia troppo la pianta si sbilancia e in caso di vento forte è peggio. La stabilità dell’albero è influenzata dall’altezza sempre in modo proporzionale, se si taglia troppo perde il suo equilibrio naturale che la fa piegare con elasticità quando viene colpita dal vento. La dinamica della chioma deve poter fare sia spinta che freno. Quarto: se spendi 100 per l’albero devi spenderne 200 per il sito di radicazione.
Il cambiamento climatico che effetto sta avendo sugli alberi di città?
Negli ultimi cinque anni ho visto molti più alberi cadere che in tutti gli altri 20 di lavoro in questo settore. Di positivo c’è che da una ventina d’anni anni a Milano si fa un buon monitoraggio delle piante, senza questo monitoraggio ne sarebbero cadute ancora di più. Di negativo c’è che a Milano le ditte che fanno le potature sono anche quelle che pagano i professionisti che dicono quali sono le piante da abbattere e quali no. La città di Torino, ad esempio, fa invece due appalti: uno per la manutenzione e uno per il controllo delle piante.
Dal Comune dicono che, compatibilmente alle normative, stanno pensando di riutilizzare una parte del legno. In città in tanti si stanno chiedendo cosa fare per non veder abbandonate alla discarica le piante…
Tre vie. La prima, dove possibile, come in un grande parco, il compostaggio naturale. La seconda, fare il cippato per le caldaie e sostituirlo ai combustibili fossili. La terza, il riuso creativo, in particolare per i tronchi di grosse dimensioni. Darli a falegnami, artigiani, artisti, cittadini che vogliono riutilizzare quel legno che ha vissuto dentro la città per tanti anni e che può restarci ancora per altro tempo sotto forma di sedute, giochi, mobili, installazioni urbane.
* da il manifesto - 28 luglio 2023
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