A due settimane dall’apertura delle urne ( 23 luglio) l’elettorato di sinistra inizia a mobilitarsi. L’estrema destra radicalizza ancora la campagna elettorale per differenziarsi di Elena Marisol Brandolini *
Iniziata in Spagna da un paio di giorni la campagna elettorale per le elezioni del 23 luglio, i sondaggi continuano a dare come più probabile la vittoria del Partido Popular e la formazione di un governo di coalizione tra Pp e Vox. Però qualcosa si starebbe muovendo nelle ultime due settimane, lentamente ma con una tendenza che sembra rafforzarsi con il passare dei giorni: il Psoe avanza e accorcia le distanze con il Pp e lo fa senza intaccare la percentuale di voti di Sumar, in lizza con Vox per il terzo posto. Il che vuol dire che l’elettorato di sinistra comincia a mobilitarsi, facendo recuperare terreno al blocco progressista. Anche perché se qualcuno nutrisse dubbi sulla pericolosità di un eventuale governo spagnolo frutto di un’alleanza tra popolari ed estrema destra, gli basterebbe scorrere le pagine del programma elettorale di Vox per coglierne la portata reazionaria.
Mentre la strategia di campagna di Sumar è improntata a confutare il ritorno del bipartitismo classico, che molti di quelli che contano vorrebbero consacrato in una futura grande coalizione, il candidato presidente Pedro Sánchez sceglie di andare all’attacco dei media che sostengono apertamente il blocco reazionario. Per ribaltarne la narrazione, si lascia intervistare da quelle televisioni che nel corso della legislatura si sono sempre scagliate contro l’operato del suo governo. E dimostra che la partita è ancora aperta e l’esito tutt’altro che scontato. A sostenerlo in questo inizio di campagna c’è, attivissimo nelle manifestazioni e nei plateau televisivi, il suo predecessore José Luis Rodríguez Zapatero.
Da tempo le sinistre spagnole allertano contro il pericolo di un governo ultra conservatore quale sarebbe quello nato dall’alleanza tra Partido Popular e Vox. Lo si è visto nelle intese raggiunte tra i due partiti successivamente alle elezioni regionali e municipali dello scorso 28 maggio: negli oltre 100 accordi siglati nei municipi e in quello di governo delle tre Comunità Autonome in mano alle destre, il programma ha assunto la dottrina e le proposte di Vox, tanto da creare un certo clamore, subito silenziato, all’interno dello stesso Pp.
Colpisce, in particolare, la censura che in molte località della Spagna governate da Pp e Vox, si sta attuando nei confronti di eventi culturali. È stata così proibita un’opera di Virginia Woolf sull’omosessualità, è stato censurato l’ultimo film di animazione di Buzz Lightyear per il bacio tra due donne, è stata cancellata un’opera teatrale in omaggio a un maestro repubblicano, è stata contestata un’opera di teatro di Lope de Vega.
Nel suo programma Vox promette interventi duri contro l’immigrazione come il «blocco navale» per fermare gli sbarchi, e aggiorna alcuni dei postulati già presenti fin dal suo inizio, adattandoli alle nuove leggi approvate nel corso della legislatura, con la ferma volontà di derogarle: è il caso delle leggi sull’aborto, l’eutanasia, le persone trans e i diritti lgtbi+, la violenza di genere, il cambio climatico, la Memoria democratica. Vox propone di rendere illegali partiti e associazioni indipendentisti, di reintrodurre i reati di referendum illegale, di sedizione, tradimento e malversazione di risorse pubbliche. Autoritaria sul piano dei diritti di cittadinanza, l’estrema destra spagnola è liberista su quello economico, perciò propone di abbassare le imposte sui redditi alti e i grandi patrimoni, con una riduzione drastica della progressività.
Per quanto riguarda le Comunità autonome, che all’inizio voleva sopprimere, Vox propone ora di svuotarle di tutte le loro competenze. Altro tema rilevante nel suo programma è quello relativo all’istruzione, dove Vox si propone di mettere fine «all’indottrinamento ideologico» e, in nome della libertà di scelta dei genitori, vuole assicurare l’insegnamento in castigliano e sostenere i centri che dividono gli alunni per sesso.
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Barcellona si «ribalta»: vince il socialista Jaume Collboni
( di Elena Marisol
Brandolini
– il manifesto - giugno 2023 )
Spagna. All'ultimo minuto i Comuns, per evitare un governo di Junts, hanno «donato» i loro nove voti. Il Pp governerà invece 30 dei 50 capoluoghi di provincia, cinque grazie all’alleanza con Vox.
Il socialista Jaume Collboni è stato eletto sindaco di Barcellona con i voti del Psc, dei consiglieri dei Comuns e del Pp catalano, battendo sul filo del traguardo il candidato di Junts per Catalunya, Xavier Trias, che nelle ultime ore aveva intessuto un accordo di governo con Ernest Maragall, di Esquerra Republicana de Catalunya.
Contro tutte le previsioni, infatti, e ad appena un’ora dall’inizio dell’insediamento del consiglio municipale della capitale catalana, il quadro delle alleanze, o meglio delle indicazioni di voto perché non c’è stata alcuna intesa a determinare l’esito, si è ribaltato.
LO SI APPRENDEVA attorno alle 16 di ieri, quando i Comuns con un comunicato informavano che, per evitare un governo di Junts, avrebbero messo a disposizione del candidato socialista i loro 9 voti da sommare ai 10 del Psc, senza patti, senza certezze, con la sola volontà di stare all’opposizione.
Per raggiungere la maggioranza assoluta di 21, però erano necessari almeno due voti del Pp, altrimenti Trias, come candidato più votato alle elezioni dello scorso 28 maggio, con 11 seggi conquistati, sarebbe diventato automaticamente sindaco. E i quattro consiglieri popolari hanno votato per bloccare l’alleanza tra Junts ed Esquerra.
Fallisce in questo modo l’unico accordo di peso degli ultimi tempi nel campo indipendentista, così altrimenti diviso al suo interno, per quanto su un candidato che rappresenta più la Convergència del passato che l’ambizione di una futura repubblica catalana.
«Abbiamo modelli opposti di politica e di città», spiegava il voto dei Comuns Ada Colau, rivolto a Trias. Un voto dato senza entusiasmo, solo perché «La Convergència del 3% non doveva tornare a governare questa città». In effetti, i Comuns avrebbero preferito una soluzione diversa. Hanno provato fino all’ultimo a editare un tripartito progressista, con Psc ed Esquerra, reso impossibile dalla prossimità delle elezioni generali in Spagna.
Perciò, l’unico che può dirsi davvero soddisfatto è Collboni con il suo partito. La sua elezione è una boccata di ossigeno per i socialisti di Pedro Sánchez, che in Catalogna sembrano avere ritrovato l’antico granaio di voti che potrebbe essere decisivo nelle prossime elezioni. E che lo scorso 28 maggio hanno perso non tantissimi voti, appena 400.000, ma moltissimo potere, come dimostra la formazione delle giunte comunali e i patti che si vanno delineando per i governi delle Comunità autonome.
IL PARTIDO POPULAR governerà, infatti, 30 dei 50 capoluoghi di provincia, oltre alle città autonome di Ceuta e Melilla, con maggioranza semplice, o come nel caso di Madrid, dov’è stato riconfermato José Luis Martínez-Almeida, con maggioranza assoluta. In cinque di questi municipi, il Pp ha scelto di pattuire il governo con Vox. In generale, i patti dei popolari con l’estrema destra riguardano un totale di 187 comuni. Il Psoe governerà solo in una decina delle grandi città.
Poi ci sono le alleanze strumentali, come quelle dei socialisti col Pp, con Upn, partito navarrino vicino ai popolari, o con il Partito nazionalista basco per impedire a Bildu di ottenere il sindaco a Pamplona, o a Vitoria.
In Catalogna, l’unico patto di successo tra i partiti indipendentisti è stato raggiunto a Girona, dov’è stato eletto sindaco Lluc Salellas, della Candidatura d’Unitat Popular. Mentre a Ripoll, tristemente famosa per essere stata la città dove erano vissuti i terroristi della strage islamista sulla Rambla, Junts si è sottratta a un’intesa con Esquerra, Psc e Cup, consentendo così l’elezione di Silvia Orriols, leader della formazione indipendentista di estrema destra Aliança Catalana.
Continuano intanto le trattative tra popolari e Vox per il governo delle Comunità autonome perse dalla sinistra lo scorso 28 maggio. Come nella Comunità valenciana, dove il torero Vicente Barrera, di Vox, sarà vicepresidente e consigliere di Cultura. Cosa significherà in termini di politiche la presenza di Vox al governo di città e regioni, lo chiarisce bene l’esponente di Vox, José María Llanos, che afferma: «La violenza di genere non esiste». Solo in quest’anno, 23 donne sono state uccise in Spagna dai propri compagni.
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Patto di Valencia: estrema destra all’assalto della Spagna
( di Luca Tancredi Barone – il manifesto – giugno 2023 )
Europa. Per la prima volta il Partito popolare si allea con Vox
Gli spagnoli sanno già cosa succederà dopo il 23 luglio se il partito socialista non riuscirà a formare una maggioranza con Sumar, la coalizione alla loro sinistra: il partito popolare si metterà d’accordo in un battibaleno con l’estrema destra di Vox per ripartirsi il paese.
I DUE PARTITI ieri hanno firmato il
patto che sancisce la fine del tripartito di sinistra nella Comunità
valenziana: ai 40 seggi ottenuti dal partito popolare alle Corts, Vox
aggiungerà con gusto i propri 13 seggi per raggiungere la maggioranza (sui 99
seggi in totale della camera regionale). Quella valenziana era una piazza che
per il Pp era molto importante riconquistare. Per anni avevano fatto il bello e
il cattivo tempo, e i livelli di corruzione avevano trascinato il partito in
moltissimi processi giudiziari che alla fine avevano travolto indirettamente
anche l’ex premier Mariano Rajoy.
Il 28 maggio la destra ha riconquistato con forza la maggioranza nella regione,
complice la caduta di Compromís, partito valenziano di sinistra, e la scomparsa
di Podemos. Assieme ai socialisti, dal 2015 i tre partiti formavano il
cosiddetto “accordo del Botànic”, dal nome del giardino botanico
dell’università di Valenza dove venne firmato: un’alleanza di sinistra che
aveva portato il socialista Ximo Puig alla guida di una regione che dal 1995
aveva sempre controllato il partito popolare.
IL PP TORNA quindi a sedere nel palazzo della Generalitat valenciana con Carlos Mazón, il futuro presidente; ma stavolta lo dovrà fare accompagnato da Vox. Un partito il cui capolista, Carlos Flores, è stato condannato per violenza contro sua moglie: l’unico gesto che il Pp ha ottenuto dai loro nuovi alleati è stato quello di appartare questo violento dalla prima linea. Non farà parte del futuro governo valenziano, perché sarà il numero uno del partito verde muco alle elezioni nazionali di luglio. Ma l’immagine di sei uomini, tra cui Mazón e Flores, seduti attorno a un tavolo rendeva chiaro il cambiamento politico: nell’alleanza del Botànic, il peso delle donne era tutt’altro.
Anche il presidente delle Corts sarà di Vox, così come un quinto dei consiglieri del governo. In questo modo, la comunità valenziana diventa la regione più importante dove Vox entra direttamente nel governo, cosa che nel 2019 era già accaduta in Murcia e in Castiglia La Mancia. In altre quattro regioni (Aragón, Murcia, Cantabria e le Baleari) i popolari stanno negoziando di ottenere l’astensione della destra estrema, senza però farli entrare direttamente nel governo. A Madrid e La Rioja, invece, il Pp ha ottenuto la maggioranza assoluta.
Il Pp intanto sta negoziando
con l’alleato alla sua destra anche la guida anche di 135 comuni, che in linea
di massima si dovranno costituire questo sabato in tutta la Spagna.
Né Vox, né il Pp lo nascondono: i negoziati sono in corso, e senza nessun
cordone sanitario contro Vox. Tra le grandi città che probabilmente finiranno
per essere guidate dalla destra ci sono la stessa Valencia, Siviglia,
Saragozza, Valladolid, o Toledo.
PER I COMUNI, la principale incognita è quello che accadrà a Barcellona: al candidato nazionalista di destra Xavier Trias, di Junts, toccherebbe governare, con 11 consiglieri su 41; ma la sindaca uscente Ada Colau sta cercando di convincere da settimane Esquerra Republicana e socialisti a formare una maggioranza alternativa (di 24 consiglieri). L’ultima sua proposta per sbloccare la trattativa è stata quella di ripartirsi la guida della città: un anno a Esquerra, e uno e mezzo a testa per il partito dei Comuns e socialisti, che così arriverebbero alle prossime elezioni guidando la città. Ma sia socialisti che Esquerra hanno respinto sdegnati la proposta.
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Spagna al voto il 23 luglio
( di Lorenzo Pasqualini – il manifesto – luglio 2023)
Un enorme cartellone con un chiaro messaggio xenofobo è spuntato ieri nella calle Atocha di Madrid, in pieno centro. Nel manifesto, esposto da una controversa società privata chiamata Desokupa, vicina al partito di ultradestra Vox, si chiede con toni minacciosi la cacciata dell’attuale premier Pedro Sánchez. «Tu, in Marocco», si legge a caratteri cubitali accanto a una foto del premier spagnolo, che viene sostanzialmente minacciato di espulsione verso il principale paese di provenienza dell’immigrazione che arriva in Spagna. Il messaggio pubblicitario viene completato dalla frase: «sgomberare la Moncloa», in riferimento alla sede della presidenza del governo.
Desokupa è una sorta di para polizia che effettua a pagamento sgomberi extragiudiziali di appartamenti e case, utilizzando anche minacce e intimidazioni come denunciato da un’inchiesta del giornale «ElDiario.es», ma il suo messaggio si rifà a un mantra dei partiti della destra spagnola degli ultimi anni, quello dell’«emergenza occupazioni». Nonostante i dati non supportino questa tesi, le case degli spagnoli sarebbero continuamente minacciate, secondo queste forze politiche, da un esercito di occupanti abusivi, soprattutto immigrati, davanti ai quali la sinistra non farebbe nulla.
La settimana scorsa intanto, sempre a Madrid, mentre centinaia di migliaia di persone prendevano parte alla settimana dell’Orgoglio Lgbt, Vox esponeva in pieno centro un maxi-cartellone nel quale una mano, con bandiera spagnola al polso, gettava nella spazzatura simboli come la bandiera Lgbtiq+ o un simbolo femminista. In un’immagine si riassumeva così l’ideologia di questo partito, che nega la violenza contro le donne ed il cambiamento climatico, e vuole riportare la Spagna indietro di decenni sui diritti.
Di fronte a queste posizioni però, il Partito Popolare (Pp) non sta avendo grandi riluttanze ad allearsi con Vox (che, va ricordato, è nato da una scissione alla destra del Pp nel 2014) in decine di comuni e in numerose regioni del paese. Il grande partito conservatore spagnolo, che lo scorso 28 maggio è stato il più votato nelle regioni e nei comuni ma che aveva bisogno di alleanze per governare, nelle ultime settimane si è alleato con l’ultradestra in 140 comuni e in diverse comunità autonome.
Questi patti locali tra popolari e Vox hanno però fatto uscire allo scoperto quella che sarà la strategia del Pp dopo le elezioni, rendendo evidente cosa potrebbe accadere dopo il 23 luglio ed escludendo qualsiasi possibilità di «cordone sanitario». Esiste però una parte dell’elettorato conservatore che non gradisce i toni del partito ultra, mentre gli astensionisti a sinistra potrebbero decidere di mobilitarsi di fronte al rischio evidente di un governo reazionario. Se fino a qualche settimana fa i sondaggi davano praticamente per certa una vittoria del blocco delle destre, ora il divario con il blocco delle sinistre, composto dai socialisti del Psoe e da Sumar (la coalizione di sinistra appena nata sotto la guida di Yolanda Diaz), sembra diminuire. Proprio ieri, un sondaggio dell’agenzia 40dB mostrava una evidente rimonta dei socialisti e uno scenario più aperto.
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«Un patto per la speranza»: in Spagna nasce la coalizione di sinistra Sumar
( Elena Marisol Brandolini – il manifesto – giugno 2023)
Europa. Verso il voto del 23 luglio. Il prezzo da pagare per il nuovo cartello elettorale è la rinuncia a presentare in lista Irene Montero, ministra delle Pari opportunità
«Non domanderò che ci votino per paura. Il nostro è un grande patto per la speranza, vinceremo il paese»: così Yolanda Díaz, ministra del Lavoro e vicepresidente del governo spagnolo, nel suo primo discorso pubblico come leader del nuovo cartello elettorale Sumar, finito di allestire venerdì, mettendo insieme tutte le formazioni alla sinistra del Psoe, in un’unica lista per concorrere alle elezioni politiche del 23 luglio. «Una notizia più che positiva», argomentava un’ora prima il presidente del governo Pedro Sánchez, aprendo la riunione del Comitato federale socialista, in riferimento all’accordo siglato tra Podemos e Sumar.
UN’INTESA RAGGIUNTA venerdì, ultimo giorno utile per presentare le coalizioni elettorali, sbloccata dalla decisione di Podemos di esserne parte. Indispensabile per provare a impedire che PP e Vox totalizzino la maggioranza assoluta dei voti per installarsi al governo e iniziare così un’epoca di arretramento nei diritti sociali e di cittadinanza. Pensata per mobilitare il voto dell’elettorato di sinistra da reinvestire in una nuova scommessa di governo progressista. Non esente però da strascichi di conflitti personali e politici, che potrebbero screditare il successo dell’iniziativa.
Era stata infatti la segretaria di Podemos e ministra dei Diritti sociali Ione Belarra a sciogliere la riserva del suo partito, poco prima delle 14 di venerdì: «Oggi la firma di Podemos nella coalizione è garantita, concorreremo alle elezioni con Sumar», diceva, dopo avere ringraziato gli iscritti che avevano partecipato alla consultazione online sul negoziato e averne avuto l’avallo con il 93% dei voti. Da quando Sánchez ha convocato le elezioni anticipate, dopo l’ascesa delle destre nelle elezioni locali dello scorso 28 maggio, il negoziato con Sumar delle diverse forze alla sinistra del Psoe ha subito una forte accelerazione. E dalle strutture territoriali di Podemos sono arrivati alla direzione del partito numerosi appelli alla lista unitaria. Senso di responsabilità per arrestare l’avanzata delle destre e senso del limite nel riconoscere la sconfitta di maggio come un presagio, hanno poi fatto il resto.
MA L’ACCORDO di Podemos con Sumar ha un prezzo elevato, perché implica la rinuncia della formazione viola a presentare in lista Irene Montero, ministra delle Pari opportunità, nonostante abbia guidato una legislatura spiccatamente femminista. Sacrificio imposto da Sumar all’esponente di Podemos per avere promosso la legge del Solo sì è sì che, nel riunificare le fattispecie di aggressione sessuale in un unico reato, ha comportato l’abbassamento delle pene di prigione in circa un migliaio di casi. Perciò Belarra, venerdì, nell’annunciare l’adesione a Sumar, insisteva per voler arrivare a un accordo giusto, senza veti. La firma però giungeva in serata senza cambiamenti. E il rischio è che questa vicenda sia ancora al centro della cronaca politica per altri dieci giorni, fino alla scadenza del termine di presentazione delle liste.
NELLA COALIZIONE Sumar si sono integrati una quindicina di partiti. Oltre a Podemos, Izquierda Unida e una serie di formazioni locali tra cui Más Madrid, presente nella capitale del paese e nell’omonima Comunità, Compromís, radicata nella Comunità valenciana e i Comuns in Catalogna. Nelle ultime municipali di maggio, questi partiti hanno totalizzato 2,2 milioni di voti, nel 2019 ne avevano ottenuti 2,9 milioni. Más Madrid ha perso circa 200.000 voti nella capitale; mentre Podemos ha perso cinque dei sei governi di cui faceva parte ed è rimasto fuori dai consigli di Madrid e Valencia. L’ambizione è che la lista unitaria sia almeno capace di recuperare quanto perso negli ultimi tre anni e mezzo.
* nella foto: Yolanda Díaz, leader di Sumar
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