Intervista . Dany Cohen, SciencesPo, sui limiti istituzionali della V Repubblica «Macron è in difficoltà, la riforma delle pensioni non è legittimata»
di Anna Maria Merlo *
In Italia la maggioranza discute del semi presidenzialismo. In questi mesi, il “modello” francese mostra segni di crisi. Il presidente Emmanuel Macron è in difficoltà a far passare la riforma delle pensioni, contestata dalla piazza – già 11 giornate di mobilitazione da gennaio, con cortei e scioperi, una dodicesima ci sarà oggi – perché non ha ottenuto la maggioranza assoluta dell’Assemblée nationale alle legislative che hanno seguito l’elezione presidenziale del 2022. Dany Cohen, professore di Diritto a SciencesPo, ci aiuta a capire come funziona il sistema istituzionale francese.
La V Repubblica nel 1958 è
nata per consentire un decisionismo di governo. Che cosa succede adesso con il
blocco sulle pensioni?
In un regime come il nostro, più presidenziale che parlamentare, ci sono grandi
difficoltà se manca la maggioranza a sostegno del presidente. Ma per rovesciare
il governo ci vuole una maggioranza contraria. Ci vuole una maggioranza che
appoggi il voto di censura. La prima mozione di censura votata in Francia è
stata nel 1962, contro il governo Pompidou. Un fatto paradossale, tenendo conto
che, dopo una IV Repubblica dove i governi cadevano spesso, con la V il
presidente era stato dotato di un’arma di ritorsione, il potere di sciogliere
l’Assemblée nationale. Una concentrazione di poteri che non esiste negli Usa,
per esempio, dove il presidente non può sciogliere il Congresso.
Oggi in Francia tutte le
critiche sono rivolte a Macron, non tanto al governo. Come mai?
Questo non dipende dal regime politico formale, ma dalla sua applicazione in
chiave di monarchia repubblicana. In parte è la tendenza naturale delle
istituzioni della V Repubblica, ma la monarchia repubblicana dipende molto
dalla forte mediatizzazione della vita politica. Ci siamo allontanati dallo
spirito della Costituzione della V Repubblica e il presidente oggi è in prima
linea, più esposto. Alle origini, con De Gaulle, il primo ministro aveva
libertà e potere più ampi di oggi. Le cose hanno cominciato a cambiare con
Pompidou, che era stato primo ministro prima di essere presidente. E il
fenomeno si è accentuato con Giscard nel 1974, anche se Chirac primo ministro
conservava maggiori libertà perché il suo partito aveva molti più deputati che
il partito del presidente dopo le elezioni del 1973, situazione unica nella V
Repubblica.
I socialisti rappresentano una situazione particolare, erano stati fuori dal potere per un quarto di secolo, non avevano mai gestito le istituzioni. Poi Chirac ha convinto Jospin a rovesciare il calendario, mettendo prima le elezioni presidenziali e dopo le legislative. La conseguenza è stata la preminenza dell’elezione del presidente. Con Sarkozy il potere del presidente è ancora cresciuto. Per esempio, mentre prima ogni ministro aveva la libertà di nominare il proprio capo di gabinetto, con Sarkozy è lui a scegliere, imponendo così una sorta di controllore ai ministri. Macron ha fatto lo stesso, con la sola eccezione di Edouard Philippe.
Chi difende il presidenzialismo
ne esalta la velocità nelle decisioni.
Non è automatico. Succede che sia sempre più utilizzata la procedura d’urgenza:
le leggi passano in prima lettura all’Assemblée nationale e al Senato, poi il
testo torna in seconda lettura nelle due camere, ma se si impone l’urgenza c’è
una sola lettura all’Assemblée nationale. L’inconveniente è anche la riduzione
della qualità nella redazione dei testi legislativi. Le leggi sono fatte per
fare sensazione: sotto Sarkozy, per quasi il 90% delle leggi non erano stati
pubblicati i decreti attuativi a due anni di distanza dal voto d’urgenza. Sono
leggi fatte per esigenze di comunicazione. Ma questo non dipende dal regime
istituzionale.
Si parla di uno scontro di
legittimità: quella del presidente eletto, quella del Parlamento, che non ha
votato la legge ma ha bocciato la censura, e infine quella della piazza.
In effetti la riforma delle pensioni non ha legittimità, è respinta da una
grossa maggioranza della popolazione. Ma è una questione distinta dalla V Repubblica
ed è indipendente dal tipo di regime. La crisi attuale assomiglia a quella dei
tempi di Alain Juppé primo ministro, che nel 1997 ha portato allo scioglimento
dell’Assemblée nationale e a nuove elezioni, senza passare però per un voto di
censura. C’è chi ne deduce che in Francia non si possono fare riforme, che la
popolazione è legata ai vantaggi sociali e che reagisce se si cerca di toccare
qualcosa. Ma nei due casi, nel ’97 e oggi, si è verificato uno strappo tra
quello che il candidato ha detto e quello che poi ha fatto.
Com’è andata?
Prendiamo Macron, che oggi dice: la riforma era nel mio programma del 2022. Ma
nel 2017 lo stesso Macron aveva un programma con una riforma più giusta,
preparata da economisti progressisti, che non prevedeva di modificare l’età
pensionabile. La gente se lo ricorda. È vero che anche allora c’erano stati
scioperi, ma perché oltre a passare a un regime pensionistico uguale per tutti
abolendo i regimi speciali, il primo ministro, Edouard Philippe, più a destra,
ne aveva approfittato per infilare un parametro sull’età, perdendo così
l’appoggio del sindacato Cfdt. L’aumento dell’età pensionabile confermava
infatti l’ingiustizia: chi ha cominciato a lavorare prima lavora più a lungo.
Così, con la ricerca di un piccolo vantaggio, Philippe aveva reso fragile tutto
l’edificio.
E nel 1997?
Allora Jacques Chirac, sfidato a destra da Edouard Balladur che era dato
vincente, aveva vinto con una campagna elettorale più a sinistra, contro la
frattura sociale. Ma poi con la riforma Juppé aveva fatto esattamente il
contrario. I francesi hanno avuto l’impressione di essere stati imbrogliati,
come oggi. I francesi dell’era Mitterrand ricordano soprattutto l’abbassamento
dell’età della pensione da 65 a 60 anni. Così il progetto dei 64 anni è vissuto
come un passo indietro sociale, un ritorno alla situazione di prima di
Mitterrand.
Sulle pensioni adesso tutto
è in mano al Consiglio costituzionale che deve dare un parere sul testo di
legge, atteso per il 14 aprile?
Il Consiglio costituzionale è stato concepito per non funzionare, anche se poi
le cose sono un po’ cambiate. Sotto De Gaulle era agli ordini del potere
politico, poi ha preso maggiore importanza dopo la morte del generale. Ma è
diverso dalla Corte di Karlsruhe in Germania, non ha la sua indipendenza, qui
in Francia membri sono designati politicamente. Solo con Robert Badinter c’è
stato un professore di diritto alla sua presidenza.
* da il manifesto - 13 aprile 2023
Nessun commento:
Posta un commento