Nucleare. Il governo ha chiesto a Edf, il produttore storico di elettricità che è in via di ri-nazionalizzazione, di aumentare la produzione. Ed è stato abolito il “tetto” del 50% di elettricità di origine atomica nel mix energetico, che era stato votato ai tempi della presidenza Hollande
di Anna Maria Merlo *
L’asse franco-tedesco, sia esaltato che temuto nella Ue, si spezza sul nucleare. La tensione sottotono che esiste da sempre è ormai esplosa con le conseguenze della guerra in Ucraina e la necessità di uscire dalla dipendenza dal gas russo.
La Francia non ha più remore e vuole tornare alle vecchie glorie, accusando la Germania di aver messo la Ue in una situazione di sudditanza rispetto a Mosca: il 21 marzo l’Assemblée nationale ha votato a favore del progetto di legge di “accelerazione” del rilancio del programma nucleare e il 28 febbraio Parigi, dopo aver ottenuto dalla Commissione di considerare “verde” l’idrogeno prodotto con energia nucleare, ha orchestrato nella Ue un fronte pro-nucleare (Bulgaria, Repubblica ceca, Croazia, Ungheria, Finlandia, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, l’Italia è paese osservatore), contro i paesi che difendono l’accelerazione delle energie rinnovabili. Oggi nella Ue un quarto dell’elettricità è di origine nucleare (con dipendenza dalla russa Rosatom per l’uranio arricchito).
Il governo francese ha chiesto a Edf, il produttore storico di elettricità che è in via di ri-nazionalizzazione, di aumentare la produzione. È stato abolito il “tetto” del 50% di elettricità di origine nucleare nel mix energetico, che era stato votato ai tempi della presidenza Hollande, anche se Macron, appena eletto nel 2017, aveva chiuso la più vecchia centrale francese, Fessenheim, una decisione presa dal suo predecessore. «Rinnoviamo la più grande avventura industriale degli anni ‘70» ha affermato la ministra dell’Energia, Agnès Pannier-Runacher. Nel paese dove la prima fonte di elettricità è nucleare con 56 reattori, il progetto è costruire 6 nuovi Epr (reattori ad acqua pressurizzata) all’orizzonte del 2035, metterne allo studio altri 8 e avviare un progetto di Smr (small modular reactor), valido anche per l’export. Inoltre, è allo studio il prolungamento a 60 anni della vita dei reattori già in funzione.
Dietro questa volontà di potenza nucleare, c’è una situazione molto meno brillante. Edf, al contrario di altri produttori di elettricità, deve fare i conti con un enorme passivo, 18 miliardi di euro. Nel 2022, Edf ha avuto la produzione più bassa da 30 anni, a causa dei vari problemi di corrosione, che hanno portato a bloccare la produzione in 4 reattori e a mettere a punto un costoso programma di revisione degli impianti: 66 miliardi di euro di costi, paragonabili ai 50-60 miliardi previsti per la costruzione dei 6 nuovi reattori. I costi, nel nucleare, gonfiano, come i tempi di costruzione: in Francia l’Epr di Flamanville dovrebbe entrare in servizio entro l’anno, con 12 anni di ritardo rispetto al previsto (i costi sono esplosi per gli Epr che Edf costruisce all’estero, in Gran Bretagna l’apertura di Hinkley Point è rimandata al 2027 e i costi sono cresciuti a 25 miliardi e in Finlandia ci sono 13 anni di ritardo).
Il governo aveva persino previsto di semplificare i controlli – con l’assorbimento dell’Istituto di radioprotezione da parte dell’Asn (Autorità di sicurezza nucleare) – ma ha dovuto rinunciare. E ora vuole aggravare le pene contro le “intrusioni” sui siti di produzione da parte degli ambientalisti
nella foto: la centrale nucleare di Bugey, a Saint-Vulbas vicino Lione
da il manifesto 12 aprile 2023
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