15 luglio 2014

Tardo europeismo o europeismo tardo?



di Aldo Giannuli *

Mi è capitato recentemente di partecipare ad un dibattito nel quale avevo come interlocutore un fans particolarmente acceso dell’Europa Unita, nel senso di sostenitore della Ue. Ne è uscito un catalogo di tutti i luoghi comuni del “politicamente corretto” europeista:

a- Occorre proseguire sulla strada degli Stati Uniti d’Europa che sono la meta immancabile da perseguire

b- Lungo questo cammino, la Ue è solo una tappa che intanto non va rimessa in discussione se non per l’introduzione di correttivi democratici (referendum europeo, maggiori poteri al Parlamento ecc.)

c- l’unica forma concepibile di Europa è quella esistente, con la sua architettura di potere, la sua moneta unica, agli attuali partecipanti che, semmai, dovrebbero aumentare e non diminuire

d- se rimetti in discussione questi “dogmi” sei antieuropeista ed, in quanto tale, “retrogrado”, perché vuoi tornare al nazionalismo che ha generato le guerre europee, vuoi rimettere indietro le lancette della storia ecc.

L’uomo non era particolarmente intelligente ed esponeva il consueto catalogo di luoghi comuni europeisti senza alcuna originalità, ma in modo ordinato e zelante, offrendo un perfetto esempio di tardo europeista. O forse di europeista tardo… fate voi.
Del tardo europeista aveva le riconoscibilissime stimmate: l’incapacità assoluta di ascoltare, di considerare criticamente il presente, di immaginare qualcosa di diverso dell’esistente. Questo, per la verità, non è tanto l’abito mentale europeista in quanto tale, ma l’abito mentale neo liberista applicato all’Europa.
Il neo liberismo, che è stato essenzialmente un fenomeno di regresso culturale dell’Umanità, si basa essenzialmente su una serie di luoghi comuni di sconcertante semplicismo e, soprattutto, è una forma di fondamentalismo (al pari di quello islamico) che esclude contaminazioni, mediazioni, ripensamenti, autocritiche. E’ un’ideologia integralista capace di immaginare il futuro solo come eternizzazione del presente o, al massimo, come sua mera proiezione lungo le sue medesime tendenze, senza ammettere scarti o rotture. L’europeismo attuale è solo l’applicazione di questi principi ideologici di cui riflette l’identica anelasticità mentale.
Beninteso, l’idea dell’unità europea non era affatto una idea sbagliata al suo sorgere e non è necessariamente fallita del tutto oggi. Il problema è trovare le forme ed i modi adatti che, con ogni evidenza, non sono quelli attuali che hanno portato ad un cul de sac dal quale non si esce se non rimettendo in discussione tutto.
Gli “europeisti” attuali non sanno assolutamente come arrivare agli Stati Uniti d’Europa, ma ci vogliono arrivare subito, domani, anzi no: stasera. A chiunque gli faccia notare che la moneta unica ha prodotto risultati opposti a quelli sperati, che non c’è alcuna volontà unitaria di affrontare la crisi, che l’Europa non è esistita come soggetto politico unitario in nessuna delle crisi internazionali degli ultimi venti anni ecc. la risposta è sempre la stessa: “perché c’è stata poca Europa, ci vuole più Europa, ora facciamo sul serio”.
Solo che non sanno spiegare come mai sinora, a distanza di 65 anni dall’inizio del processo di unità europea, siamo ancora a questo punto e perché certe cose non sono state fatte prima. Ma, passiamoci su la mano leggera e parliamo del futuro. Vogliamo fare gli Stati Uniti d’Europa?
Benissimo, facciamoli. Però, per farli, dobbiamo risolvere prima alcuni problemi. Certo: si tratta di quisquilie, bagatelle, pinzillacchere:

1. primo fra tutti il problema linguistico, perché non si è mai visto uno Stato che non abbia una lingua veicolare condivisa. Ci sono Stati plurilingui (sono eccezioni per la verità), come la Svizzera, la Russia (e prima l’Urss), la Cina, l’India, o come lo era la Jugoslavia e moltissimi altri Stati ospitano minoranze linguistiche più o meno consistenti. Però, in nessun caso si è trattato di Stati con oltre 25 lingue ufficiali (oltre numerosissime minoranze linguistiche) e sempre c’è stata una lingua dominante in funzione veicolare per l’intero territorio statale (il tedesco in Svizzera, il russo in Russia, il Cinese Han in Cina, l’inglese in India, il serbo- croato in Jugoslavia). Qui non si capisce quale possa e debba essere la lingua veicolare. Molti pensano l’inglese, che, però, è lingua madre solo di circa il 10% degli abitanti. Inoltre una scelta del genere ammazzerebbe in Europa l’industria culturale (case editrici, cinematografiche, giornali, televisioni, canzoni ecce cc) di lingua diversa dall’inglese. I francesi, che sono quelli che lo hanno capito prima degli altri, infatti si oppongono strenuamente a questa insana proposta.

2. Il nazionalismo è una brutta cosa, d’accordo, ma il senso di appartenenza di un popolo ad uno Stato deve pur fondarsi su un sostrato culturale comune e dar luogo ad uno spettro organizzato  degli interessi sociali. Dopo di che, se qualcuno riesce ad organizzare questo spettro sociale e a darsi una base culturale condivisa, ha semplicemente dato vita ad una nuova aggregazione nazionale.

3. Nella Ue ci sono 7 monarchie parlamentari (Spagna, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Inghilterra, Danimarca, Svezia) e 21 repubbliche fra parlamentari e presidenziali. Gli Stati uniti d’Europa sottintendono il trasferimento di sovranità all’Unione, per cui non ha senso che ci siano “capi di Stato” dei singoli paesi. Lasciando per il momento da parte la differenza di forma di governo fra i due tipi di repubblica, questo significa che diventa imprescindibile il passaggio alla forma repubblicana degli stati monarchici, perché non si è mai vista uno stato anche federale che includa stati monarchici e stati repubblicani (unico precedente storico sarebbe la confederazione tedesca del XIX secolo, ma che, appunto, non era uno Stato). Saluteremmo con gran piacere una Spagna, una Inghilterra, una Danimarca, una Olanda ecc. repubblicane, ma siamo sicuri che spagnoli, inglesi, danesi, olandesi ecc. siano d’accordo? Proviamo a chiederglielo prima?

4. Attualmente l’Europa ha diversi paesi membri che fanno parte dell’Alleanza Atlantica e della Nato, ma altri (Irlanda, Cipro, Malta, Austria, Svezia, ecc.) che non ne fanno parte, per cui, in primo luogo occorre stabilire una posizione uguale per tutti, ma, soprattutto, occorrerebbe rinegoziare (eventualmente) l’adesione come Stati Unite d’Europa e non più come singoli stati. Va benissimo, ma perché nessuno ne parla?

5. Ci sono poi i problemi di ordine fiscale che ovviamente andrebbero risolti in un ordinamento unico (poi pensate: abbiamo fatto la moneta unica ma ci siamo dimenticati di unificare il fisco!) il che andrebbe benissimo per evitare i paesi-vampiro come l’Olanda che praticano un vero e proprio dumping fiscale dissanguando i paesi “deboli” come Portogallo e Italia (come dimostra il caso Fiat), ma, ancora una volta, come mai nessuno ne parla? Siamo sicuri che Olanda e simili siano disposti a discutere del tema?

Potremmo proseguire con i problemi sulla forma di Stato, con i diversi ordinamenti elettorali ecc. ma ci sembra che sia sufficiente elencare queste cinque priorità. Qualcuno può avere la bontà di spiegarci da dove iniziamo? Ma, soprattutto, come mai in questo chiacchiericcio inconcludente sugli Stati Uniti d’Europa, nessuno accenna a questi problemi?
L’Unità europea è un obiettivo cui non si deve rinunciare, ma la strada per arrivarci è quella attuale tutta tecnocratica e finanziaria? Sembra evidente che questa strada si ferma qui e non va oltre. Occorre ripensare tutta la costruzione. Ma gli “europeisti” (ove per essi si intendano i fautori dell’attuale ordinamento che sognano possa evolvere nei mitici “Stati Uniti d’Europa”) non intendono ragioni e si dividono in due categorie fondamentali: i “narco europeisti” e gli “europeisti narcotizzati”. I primi sono le èlite tecnocratico-finanziarie al potere che spacciano l’ideologia “europeista” sapendo perfettamente che su questa strada non si arriva agli Stati Uniti d’Europa, che usano come slogan per legittimarsi. I secondi sono le “anime belle” affette da “narcosi ideologica” e che, nonostante tutto, credono ciecamente nel loro sogno, incapaci di affrontare il discorso in termini di crudo realismo politico e che, per questo, di immaginare nulla di diverso dall’esistente. E, al solito, sono quelli che fanno più danni, come sempre accade agli “strumenti ciechi d’occhiuta rapina”

·      *    da aldogiannuli.it7 luglio 2014

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