20 dicembre 2010

Sistema al collasso?

di Massimo Paupini*

In un incontro un paio di mesi fa diceva giustamente Nanni Salio (del centro studi Sereno Regis -si occupa di nonviolenza- di Torino ) a proposito dell'attuale situazione, che non è scontato che dal collasso di questo sistema derivi un sistema migliore. Forse però, ancora a monte di discorsi del genere, non dovremmo avere tanta fretta di recitare il "de profundis" per il suddetto sistema, che, dato molte volte in fase critica e oltre, ha invece sempre dimostrato una notevole capacità di adattamento. Possiamo pensare a come è finita con il contro -si fa per dire- sistema sovietico, che pure tante volte ne aveva preconizzato la fine, o a come ha riassorbito spinte potenzialmente disgregatrici, prevalentemente culturali, come quelle del movimento femminista e di quello studentesco del '68 o più materialmente concrete, a cominciare dalla prima crisi petrolifera (correva l'anno '73), alle varie "crisi" economico-finanziarie-ambientali che si sono succedute dagli anni ottanta in poi.


Secondo Andrè Gorz negli ultimi vent'anni si sono succedute sette crisi (fino alla penultima, dato che Gorz è morto tre anni fa), che lui per altro considerava praticamente una crisi unica, che mostrava che -e come - il sistema cercava una nuova stabilità, facendo pagare i conti di questa "ristrutturazione", come sempre anche in passato, ma questa volta in maniera più ampia e allargata, ai gruppi più deboli. Sappiamo tutti che nel frattempo la forbice paesi ricchi- paesi poveri si è abbondantemente allargata (tutto il problema dei paesi poveri debitori e gli scandalosi piani di aggiustamento
strutturali imposti dalla banca mondiale e dal fondo monetario....) ed altrettanto sta succedendo nei paesi più opulenti, con i ricchi sempre più tali ed i poveri sempre più numerosi.

Partendo quindi da queste premesse, andrei molto cauto a considerare l'attuale crisi come l'inizio della fine di un sistema ormai al collasso: se è vero che "ad una crescita infinita in un sistema finito possono credere solo i cretini e gli economisti" (detto da un economista, Building?) è anche vero che appare sempre più probabile che gli inviti a riprendere a crescere a a consumare in vista di un benessere ( = più merci) per tutti siano solo di facciata, e che la possibile soluzione nella continuità sia ben altra. Prima di proseguire credo sia necessaria una breve premessa: dagli inizi del sistema di produzione industriale, crisi periodiche ce ne sono sempre state, sonostate accuratamente studiate da diversi economisti a cavallo tra fine ottocento e prima metà del novecento, individuate delle periodicità (cicli di Kondratev, circa 7 anni, ma non solo) e da un certo punto in poi considerate inevitabili, quasi fisiologiche al sistema.

Nel dopoguerra c'è stato il fatto nuovo, praticamente dal '45 al '75 (i "trenta magnifici") vi è stata una crescita continua e senza interruzioni: probabilmente in quel periodo, in concomitanza con il
trauma della guerra, con l'euforia della ricostruzione, che non era solo materiale ma puntava a "ricostruire" appunto anche un mondo migliore, senza più guerre, si è pensato veramente che fosse possibile un benessere (sempre = più merci) duraturo per (quasi) tutti.C hiusa questa comunque relativamente breve parentesi, si giunge alla situazione attuale e tornando alle considerazioni di Gorz su quello che sta succedendo da vent'anni a questa parte, potremmo arrischiarci in alcune ipotesi di lavoro:
-Probabilmente è tramontata l'idea di crescita (comunque intesa) per tutti
-Per mantenere comunque il sistema più o meno come lo conosciamo si punta a consumi selezionati per super ricchi che compenserebbero la perdita di quantità (con però il necessario risparmio di materie prime, energia e quindi la riduzione dei problemi ambientali) con la
qualità ( = costi altissimi) delle spese.
-Necessita comunque un livello intermedio, indispensabile per produrre ciò che occorre e per i servizi al primo livello e tenere a bada l'ultimo, con situazioni più o meno stabili o più o meno precarie.
-Rimangono alcuni miliardi di persone che in questo schema sono letteralmente inutili, sia come produttori sia come consumatori: l'ideale sarebbe veramente che non ci fossero.
-Appare probabile che nell'ottica descritta quest'ultimo "problemino" possa essere di non semplice soluzione (ma con un po' di fantasia chissà...)

P.S. Questo vale anche per i cosiddetti paesi emergenti, Cina compresa: in ogni caso possiamo considerare altamente probabile che non più del 10-15% della popolazione raggiungerà il primo livello, il resto rimarrà più o meno intorno alla sussistenza.

Seguendo questo ragionamento, il sistema diventerà -nella nostra considerazione- sempre più disumano, ma potrà andare avanti benissimo (si fa per dire), superando -a modo suo- crisi ambientali e varie.Puntare ad evitare che questo scenario possa realizzarsi e costruire
invece una società costruita all'opposto sulla solidarietà e sulla equa condivisione di quanto disponibile in maniera armonica ed equilibrata è ovviamente un compito immane, di fronte al quale sarebbe necessario che tutti quelli che si sentono da questa parte unissero i loro sforzi senza badare troppo a inevitabili differenze, anzi: solo alcuni giorni fa, ad un incontro sulle buone pratiche tenutosi all'università di Roma uno, il filosofo Giacomo Marramao sosteneva che la chiave per stare insieme è il dissenso.
Se fosse vero, forse non saremmo messi troppo male....

*GCT (Lazio)

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