30 agosto 2023

A che punto è la muraglia di alberi per frenare il deserto in Africa


 

 

 

 

 

di Gianluca Schinaia *

I deserti avanzano in tutto il mondo, mettendo a repentaglio agricoltura e sicurezza alimentare. E il progetto di una cintura verde per frenare il Sahel, avviato nel 2007, è appena al 20% del suo avanzamento

Caldo e siccità: due fenomeni correlati, ormai sempre più presenti in cronaca e non solo come aggiornamenti di meteo o scienza. Eppure la CopP15, la conferenza delle parti delle Nazioni Unite dedicata alla lotta contro la desertificazione, “è stata la Cenerentola di tutte le Cop, ricevendo meno attenzione e mezzi delle sue controparti. Per troppo tempo, la desertificazione e la siccità sono state considerate problemi dell'Africa”. Non è l’opinione di un attivista ma del presidente della Cop15 sulla desertificazione Alain-Richard Donwahi, che Wired ha intervistato. Quello che era un problema erroneamente considerato come regionale, secondo Donwahi, adesso è chiaro e pericoloso per tutti: “La desertificazione si sta diffondendo in tutto il mondo. Con l'estate, molti Paesi temono gravi episodi di siccità e scarsità d'acqua che potrebbero avere un impatto significativo sull'agricoltura e sulla sicurezza alimentare”. Perché la desertificazione e la siccità sono fenomeni accelerati o indotti dal surriscaldamento globale che impattano su tanti aspetti della vita umana.

Il continente si scalda a una velocità doppia rispetto alla media. Accelerano anche le energie verdi, la cui produzione supera quella da fonti fossili nel 2022

La siccità riguarda il 40% dei terrestri

Secondo le Nazioni Unite la siccità è “il degrado dei terreni nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, dovuto a una serie di fattori diversi, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane". Le aree degradate rappresentano una cifra stimata tra il 10 e il 15% dell’intera superficie terrestre, dove vive oltre il 40% della popolazione mondiale. E se pensiamo allo stress idrico, ovvero la carenza di acqua in certe aree del Pianeta, questo problema ormai riguarda un terzo della popolazione mondiale. Ciò che preoccupa è che la siccità e la desertificazione seguano avanzando: dal 2000 sono aumentate di circa il 30% le aree aride del pianeta. E tra il 1979 e il 2019 si possono stimare circa 650mila morti a causa della siccità nel mondo. Nessuno può dirsi escluso: nel prossimo futuro saranno 190 le nazioni che soffriranno qualche effetto a causa di siccità e devastazione. In sintesi estrema, succederà in tutto il mondo, considerando che sulla Terra sono registrate 194 nazioni.

La soluzione della Great Green Wall

Il cuore pulsante del processo di desertificazione più impattante al mondo è nel Sahel. La soluzione che si sta cercando è il progetto della Grande Muraglia Verde, guidato dall’Unione africana con il supporto delle più importanti organizzazioni intergovernative al mondo. Si tratta di una sorta di cintura alberata progettata per attraversare in orizzontale il continente africano. Dovrebbe costare circa 33 miliardi di dollari e al 2021 ne erano stati investiti 14: obiettivo realizzare entro il 2030 una linea di foreste con un'estensione di circa 8mila chilometri di lunghezza e 15 chilometri di larghezza. La cintura attraverserà 11 nazioni africane, dal Senegal e dalla Mauritania fino a Gibuti, e si propone di contrastare la degradazione ambientale e la povertà della regione, partendo dal miglioramento delle condizioni climatiche e ambientali dell’intera area.

Sì, la Grande Muraglia Verde è parte della soluzione, perché contribuirà a combattere la desertificazione e il cambiamento climatico: è un progetto molto importante, non solo per l'Africa, ma per il mondo intero. Ma questa iniziativa non riguarda solo la creazione di foreste, bensì anche lo sviluppo di ecosistemi virtuosi per le comunità locali. La Grande Muraglia Verde comprende diversi progetti guidati dalle comunità, in particolare nel campo dell'agricoltura rigenerativa"

Alain-Richard Donwahi, presidente Cop15 sulla desertificazione

Questi progetti aumenteranno la sicurezza alimentare e l'accesso all'occupazione, elementi essenziali per preservare la sicurezza, la stabilità politica ed evitare massicce ondate migratorie. Per quanto avveniristico, tarato sulle soluzioni rigenerative delle nature based solutions e ambizioso, il successo del progetto non è affatto scontato e anche Donwahi ammette che ci sono ritardi sensibili sulla roadmap: “Dobbiamo fare di più e in fretta. Solo il 20% dell'intera iniziativa è stato realizzato dal suo lancio ufficiale nel 2007. Se vogliamo completarla come previsto, entro il 2030, dobbiamo trovare più risorse, più fondi e destinarli ai progetti giusti. Abbiamo anche bisogno che i Paesi coinvolti inseriscano questa iniziativa nei loro piani di sviluppo nazionali e nei loro bilanci annuali, in modo che i fondi siano dedicati a far progredire la Grande Muraglia Verde e a sostenere le comunità”.

Frenare le migrazioni climatiche

Supportare la rigenerazione di Paesi che oggi soffrono la siccità a livello ambientale per crescere socialmente ed economicamente. E così allentare anche la portata del fiume carsico di migranti che dalle sponde del Nord Africa si riversano in Europa, con le conclusioni drammatiche che racconta la cronaca. Le migrazioni climatiche saranno sempre più impattanti nei flussi di persone a livello mondiale. E saranno siccità e desertificazione, che implicano problemi gravi di approvvigionamento idrico, a spingere ulteriormente questi flussi: “È un dato di fatto: la siccità è in aumento. Non solo in Africa, ma in tutto il mondo.

Negli ultimi 20 anni, abbiamo assistito a un aumento del 29% degli episodi di siccità e prevediamo che oltre 190 Paesi saranno più esposti alla siccità nei prossimi decenni. A causa di questi fenomeni, oltre 200 milioni di persone potrebbero essere costrette a lasciare le loro case e a migrare entro il 2050”.

Alain-Richard Donwahi, presidente CopP15 sulla desertificazione

Per questo secondo il presidente della Cop15 i Paesi europei dovrebbero accelerare la realizzazione dei propri impegni ambientali nell’ottica realizzativa della Grande Muraglia Verde. Lo stesso impegno che devono riversare tutte le nazioni che hanno sottoscritto gli Accordi di Parigi: la mitigazione passa innanzitutto dalla transizione ecologica dell’economia mondiale. E dal rispetto degli impegni presi e sottoscritti.

nella foto: Mucche nel deserto del Sahel, Poncho/Getty Images

* da www.wired.it  19 agosto 2023

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La riforestazione ha un impatto su ambiente, società ed economia

 di Giovanni Beber *

Sostenibilità

Andrea Bianchi è un botanico tropicale che lavora nell’ambito del progetto Udzungwa corridor limited, finanziato da un fondo nord-americano e che prevede le riforestazione di una zona centromeridionale dei monti dell’Arco orientale, in Tanzania. Ha iniziato a occuparsi del progetto nel 2021 e da allora seleziona le specie di piante da reinserire nel territorio. A Buone Notizie ha raccontato perché il progetto può avere un impatto non solo sull’ambiente, ma anche a livello sociale ed economico per le comunità locali.

La deforestazione in Tanzania affonda le radici nel colonialismo

Secondo il report sulla deforestazione nel 2022 stilato dall’Università del Maryland, l’Africa ha perso circa 3,6 milioni di ettari di copertura arborea, tra cui circa 800mila ettari di foreste tropicali primarie, cioè quelle che non sono state finora coinvolte da attività agricole o industriali.

Andrea racconta che “le cause della deforestazione sono molteplici. Ad oggi, la causa principale è l’aumento della popolazione, che ha reso necessario ampliare la superficie di terreni coltivabili. Il taglio del legname permette inoltre agli abitanti di produrre carbone, fondamentale in Tanzania per produrre energia. Ma il processo di deforestazione è iniziato già quando il Paese era colonia tedesca e inglese, legato al commercio di legnami tropicali”.

In tal senso, il progetto di riforestazione è stato pensato per avere una durata di trent’anni. In questo lasso di tempo l’obiettivo principale è proprio quello di lavorare con le comunità locali, affinché attraverso la riforestazione gli abitanti del luogo possano accedere ad un lavoro a lungo termine e uscire dalla condizione di povertà in cui si trovano. Riforestazione, educazione a una vita in sintonia con la foresta e miglioramento delle qualità di vita delle popolazioni locali vanno quindi a braccetto.

Riforestare richiede tempo, ma i primi risultati sono già visibili

Il progetto è operativo nella zona tra il Parco nazionale dei monti Udzungwa e la Riserva forestale di Udzungwa Scarp. È un’area di 75 chilometri quadrati, che una volta riforestata permetterà di rimuovere 5,5 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e restaurare l’ecosistema animale e vegetale in uno dei più importanti hotspot di biodiversità del mondo, che ospita quindi almeno 1.500 specie di piante endemiche.

Andrea si occupa della scelta delle specie, un passaggio cruciale, se si considera che la Tanzania ha una flora estremamente ricca, con più di diecimila di piante e circa 1500 specie di alberi. Per un confronto, un simile numero di specie è tra il doppio e il triplo della flora italiana, già estremamente ricca.

Andrea spiega che la selezione è un’operazione molto delicata, perché vanno individuate le specie corrette sia per l’altitudine che per la piovosità, in particolar modo per le specie ad areale ristretto. Questo significa che alcune piante possono stare soltanto in porzioni di territorio molto piccole, a volte singole vallate o addirittura solo su una montagna”.

Inoltre, dopo avere selezionato le singole piante, è necessario scegliere attentamente il mix di specie che si va a piantumare. Una volta selezionate, la parte più importante e difficile è quella della raccolta dei semi. Nonostante le varie difficoltà che la riforestazione richiede e la visione a lungo termine del progetto, Andrea sostiene che i risultati si iniziano già a intravvedere. “Le prime piantine che abbiamo messo a dimora un anno e mezzo fa sono già più alte di me. In quello che era un ambiente desolato, adesso sono già presenti piante alte due metri e mezzo, e alcune di queste crescono di due metri all’anno. Fra dieci nelle zone più favorevoli sarà cresciuto un bosco vero e proprio”.

Il monitoraggio migliora il lavoro e rende replicabile l’operazione

Il monitoraggio della crescita delle piante è cruciale, perché permette di osservare e selezionare le specie più idonee alla riforestazione. A partire dall’osservazione dei dati raccolti, Andrea e il resto del team modificano la percentuale di specie che piantano l’anno successivo.

Inoltre, una volta validati, i dati sulla riforestazione possono essere inseriti nella piattaforma AirImpact, pensata per mettere in connessione tra loro imprenditori, ONG e altri enti che vogliono iniziare un progetto simile. La piattaforma, sviluppata nel 2018 all’interno di un altro progetto in cui opera Andrea, aiuterà nella scelta delle specie e può essere uno strumento di confronto per monitoraggi futuri.

Gli effetti positivi della riforestazione sulle comunità e l’ambiente

Il progetto di riforestazione prevede anche una parte di sensibilizzazione delle comunità sull’importanza della foresta, della biodiversità e sul ritorno delle specie animali nella zona. Il contratto stipulato con le comunità locali concede loro di tagliare il 3% degli alberi all’anno, alla fine dei trent’anni di progetto.

“Questa percentuale, che può sembrare molto bassa, corrisponde a circa 30 alberi per ettaro. Questa sarà sufficiente a dare agli abitanti un introito fino a migliaia di euro per ettaro. Il tutto in una gestione sostenibile della foresta, che passerà dalla scelta oculata delle piante da tagliare, evitando il disboscamento a tappeto”, spiega Andrea. Dell’educazione a una gestione circolare della foresta si occupa una ragazza tanzaniana, che promuove anche la parità di genere e l’accesso al lavoro a tutti.

Inoltre, il progetto avrà esiti positivi dal punto di vista di conservazione della biodiversità molto alti. La zona riforestata fungerà da corridoio ecologico tra le due aree protette del Parco nazionale dei monti Udzungwa e la Riserva forestale di Udzungwa Scarp. Mettendo in comunicazione le due aree animali come elefanti, leopardi e bufali che si sono estinti localmente in una delle due foreste potranno ritornarci.

nella foto: Comunità locali tanzaniane al lavoro in uno dei vivai ( Andrea Bianchi )

* da www.buonenotizie.it - 22 agosto 2023


 

 

 

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