16 agosto 2020

Referendum: SI’ alla riduzione dei Parlamentari ma è solo un inizio

 di Massimo Marino

Sostenere con il SI’ il taglio dei parlamentari è solo un primo passo, per la verità di portata molto modesta, utile per una riforma ben più complessa e necessaria, dell’intero sistema istituzionale italiano che fa acqua da tutte le parti. Almeno dalla metà degli anni ’90 le logiche “di casta” hanno preso il sopravvento su una reale dialettica politica fra forze e progetti di società diversi, sostituita, con l’avallo dei diversi sistemi maggioritari, da una finzione di bipolarismo. In realtà da una palude dove per anni le differenze fra le diverse forze politiche sono diventate minime e sulle questioni di riforma strutturali di fatto irrilevanti. Basti accennare alla precarietà del lavoro, alla crisi ambientale, al fenomeno della corruzione e del clientelismo, al degrado del sistema sanitario, al dilagare delle privatizzazioni parastastali. Problemi sui quali negli ultimi decenni è arduo definire concrete differenze fra i principali partiti.

 Il progetto “anticasta” del M5Stelle fa parte di un condivisibile, seppur confuso, disegno complessivo che dovrebbe prevedere: 1) l’istituzione del referendum propositivo tramite la cosiddetta “legge di iniziativa popolare rafforzata”, approvata alla Camera e ferma al Senato. 2) una positiva modifica del sistema elettorale in senso proporzionale con il quorum al 5% per contenere la frammentazione ed il trasformismo dei piccoli partiti o i cartelli elettorali inventati all’ultima ora. Modifica che comunque si impone modificando i seggi nelle due Camere.  3) Il rilancio dei referendum di tipo abrogativo ( ma non abbassando il quorum sotto il 50% che personalmente considero una pessima idea che mi auguro venga abbandonata) 4) Una riduzione delle indennità e dei costi complessivi della politica e non solo, che sono fra i più alti nell’intero Occidente, su cui però si erge nei fatti un silenzioso muro invalicabile da parte di tutti i partiti e partitini senza distinzioni di schieramento.

Di fronte alla ostilità dei vecchi partiti e in assenza di sedi all’interno del M5Stelle dove approfondire e consolidare questa riforma complessiva, che originariamente aveva l’obiettivo di ridurre il potere della casta e la sua vocazione clientelare praticando anche forme di democrazia diretta riducendo i costi e orientando le risorse verso finalità più popolari, il progetto complessivo si è disarticolato. Paralizzato anche dalla ostilità degli avversari per molti elettori ed anche militanti è diventato quasi incomprensibile.

Ne sono un segno anche due aspetti che andrebbero resi organici a questo progetto riformatore: 1) una battaglia coraggiosa contro le distorsioni del federalismo, di matrice leghista ma non solo, che vede una discutibile autonomia regionale di cui stiamo vivendo i deleteri aspetti nel campo della sanità e della salute emersi nella crisi data dal coronavirus, così come nelle regole elettorali bizantine dove ormai ogni Regione inventa la propria legge elettorale, un caso unico nel mondo, e qualcuno stà introducendo un possibile doppio turno. 2) una mancata riforma del voto in direzione di un effettivo election day dove si dovrebbero concentrare i diversi appuntamenti votando ogni 2-3 anni alternativamente attorno alle Politiche e alle  Amministrative, aggregando alle prime o alle seconde eventuali referendum abrogativi e propositivi, amministrazioni commissariate, collegi uninominali rimasti vacanti e quando possibile le Europee. Invece ogni 3-4 mesi si vota qualcosa da qualche parte favorendo un assenteismo elettorale che ormai coinvolge quasi la metà degli elettori. Solo il virus ha momentaneamente fermato questo calvario. Per fare un esempio nelle ultime elezioni pre-covid, quelle in Calabria del gennaio 2020, non ha votato il 58% degli elettori e la signora Santelli sgoverna la Regione con meno del 24% dei voti (449mila su 1,896 milioni di elettori). 

Va ricordato che il referendum del 20-21 settembre contro la riduzione dei seggi (in un mini election day con anche sette Regioni, un migliaio di Comuni e due Collegi uninominali vacanti che ha trovato a destra ma anche a sinistra critiche e ostilità che lasciano allibiti) è stato promosso a seguito delle firme di 71 parlamentari per lo più di Forza Italia e della Lega ma anche con qualche singola adesione individuale di altri partiti. Un colpo di mano dell’ultimo momento del centro-destra contro il taglio. Va ricordato che la Legge costituzionale di riduzione dei parlamentari è stata approvata dalle Camere, in prima lettura dalla maggioranza Lega-M5S e in seconda lettura l’8 ottobre scorso da quella Pd-M5S-Leu-Iv con 553 voti favorevoli e 14 contrari. Cioè praticamente da tutti, compresi FdI e Forza Italia. Il partitino di Renzi, dopo aver votato a favore ha scoperto di essere in realtà favorevole a logiche maggioritarie, in realtà preoccupato, senza dirlo, della possibile conseguenza di adottare un proporzionale conseguente con il quorum al 5% da cui è lontanissimo. Tutti favorevoli quindi solo perché preoccupati di perdere qualche voto su un tema che sembra trovare un largo consenso fra i cittadini ma pronti dietro le quinte a boicottare la riforma.

Considerando 50 milioni di elettori il taglio comporterebbe ad esempio alla Camera la riduzione da 630 a 400 seggi cioè da uno ogni 79mila a uno ogni 125mila elettori. In realtà, considerando con ottimismo solo un terzo di non votanti, si passerebbe da circa un seggio ogni 53 mila a uno ogni 83mila elettori. Inconsistente quindi da questo punto di vista sostenere che “si ridurrebbe in modo significativo la rappresentanza del territorio”. Peraltro l’idea del parlamentare espressione del territorio (qualcuno si trascina in testa da anni l’idea del parlamentare di quartiere spesso in una logica clientelare) è comunque discutibile perché almeno nelle grandi conurbazioni ci sono rappresentanti del territorio a livello di Circoscrizione o Municipio, di Comune, di Provincia o Area Metropolitana, di Regione. Tutti hanno abbondanti collegamenti, quando fosse necessario, con i Parlamentari della zona che dovrebbero occuparsi per la verità delle politiche nazionali e della politica estera.

Un’altra critica basata su presupposti discutibili è quella che sostiene che la riduzione degli eletti ridurrebbe il pluralismo riducendo la rappresentanza dei partiti minori. Qui la confusione o la ambiguità sono totali. E’ vero che la riduzione dei parlamentari è accettabile solo in presenza di un sistema rigidamente proporzionale. Che non può essere il proporzionale puro dove con l’ 1% si elegge qualcuno o si partecipa come gregario inventato all’ultima ora delle cosiddette coalizioni. Con il 5% finalmente si cancellerebbero i partitini inconsistenti e si aprirebbe la strada a progetti seri, che nel mondo della sinistra e dell’ecologismo in particolare, potrebbero dare un utile contributo alla scena politica.

Diversamente, fuori da uno scenario proporzionale , queste critiche avrebbero un fondamento. Va chiarito che la rappresentanza delle forze minori non dipende affatto dal numero totale di eletti da scegliere ma dal tipo di sistema elettorale. Più il sistema elettorale ha caratteristiche proporzionali più la rappresentanza è garantita, più prevalgono logiche maggioritarie più la rappresentanza viene distorta. La Corte Costituzionale in realtà lo ha sostenuto ripetutamente.

Potremmo avere un Parlamento di 2000 eletti dove, in presenza di logiche maggioritarie (ad esempio i collegi uninominali o il doppio turno), un partito del 5% sarebbe molto meno rappresentato che in un Parlamento di 600 eletti basato su una rappresentanza proporzionale dove, come percentuale sul totale, i suoi eletti conterebbero molto di più, cioè avrebbero una maggiore, non minore, rappresentanza.

Del tutto incomprensibile e ingiustificata è quindi la critica secondo cui il M5Stelle con il progetto del taglio dei Parlamentari ridimensionerebbe la Rappresentanza, quindi la Democrazia, quindi la Costituzione. C’è un lungo elenco di critiche che possono essere fatte alla storia, agli errori ed alla evoluzione del M5Stelle le cui conseguenze potrebbero chiudere le speranze di cambiamento che il Movimento ha sollecitato nel paese. Molte critiche sono giustificate ma non quelle inventate senza alcun vero fondamento.

- Ad esempio, è evidente che Roussou è uno strumento utile per interpellare gli attivisti ma inutile, per non dire del tutto deleterio nel soffocare il dibattito che andrebbe invece organizzato e istruito in sedi che ad oggi non esistono.

- Così come la logica del Capo politico invece di una leadership plurale annualmente eletta e riconosciuta, nazionale e regionale è un errore storico, oltre che una ingenuità imperdonabile, che verrà presto pagata duramente. Per cambiare l’Italia non servono Capi politici che peraltro scarseggiano, ma progetti collettivi basati sulla priorità di grandi mobilitazioni da cui emergono naturalmente leadership periodicamente valutate e se del caso senza drammi cambiate.

- E’ evidente che in mancanza di procedure adeguate e di un progetto progressivamente approfondito, la scelta dei candidati e degli eletti si sta’ dimostrando del tutto inadeguata.

- Il governismo a tutti i costi quando poi si trasferisce anche nelle alleanze obbligate sul piano locale anche con i partiti tradizionali, che alla fine potrebbe tradursi di fatto in una alleanza subalterna con il solo PD, potrebbe portare più guai che benefici al paese oltre che al Movimento.     

- L’incapacità di elaborare una terza via chiara sui migranti, che è possibile, invece di oscillare come in altri casi fra quelli sempre dei porti chiusi e quelli sempre delle porte aperte non è più accettabile.

Il M5Stelle è un partito di centro con una inusuale connotazione storica originaria di tipo radicale e riformatrice. E’ nato sulla lotta alla precarietà, sulla lotta alla corruzione, sulla centralità della crisi ecologica e climatica. E’ esattamente ciò che serve all’Italia e per la verità all’intero Occidente e sarebbe ora che il Movimento ne diventasse soggettivamente consapevole. Più si allontana da questa connotazione di centro radicale, più si avvicina alla dissoluzione. Non è epoca invece di partiti di centro moderato che non hanno futuro, aghi della bilancia oscillanti o gregari nel balletto della vecchia politica.

Per il momento e per fortuna il M5Stelle è un movimento politico, seppure in profonda crisi di identità, garante, forse il principale, di Democrazia e Costituzione, che sono i nostri beni più preziosi.

Per quanto mi sembri improbabile, un eventuale successo dei fautori del NO segnerebbe prima di tutto un trionfale successo di tutte le destre, dichiarate e occulte. Successo di cui l’Italia non ha proprio bisogno.  

il commento della settimana (1) - 16 agosto 2020

 

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