di Massimo Marino
1)
Il 23 ottobre del 1917, in realtà la notte
del 7 novembre del nostro calendario, i bolscevichi presero il Palazzo
d’Inverno, sede storica degli Zar nella capitale della Russia San
Pietroburgo ( all’epoca Pietrogrado). La banalizzazione della Storia, che
spesso viene raccontata senza ricavarne una memoria rispettosa dei fatti e
degli insegnamenti che può regalare indica in quella notte la fine dello
zarismo, la vittoria dei Soviet e l’inizio della storia del Comunismo fatto
Stato. Parentesi storica che durò in fin dei conti meno di 90 anni, cioè meno
di una contadina delle steppe in buona salute. In realtà la dinastia degli Zar
era già stata annientata da sei mesi e nel Palazzo d’Inverno era riunito il
governo rivoluzionario provvisorio di Kerenskj. Era costituito da radicali
liberali e socialisti moderati. Lo
sparuto drappello di bolscevichi aveva però trascinato con sé una consistente frazione
di operai, soldati e contadini, ma anche intellettuali stufi dei capricci degli
Zar, appellandosi a tre semplici parole d’ordine: uscire dalla guerra,
garantire il pane a tutti e dare più riconoscimento al ruolo dei consigli degli
operai e dei contadini.
In realtà quella notte (fig1) non ci fu nessuno scontro perché nel Palazzo
non c’era nulla da conquistare. Un migliaio di cadetti dell’Accademia e un
altro migliaio di soldatesse del battaglione femminile non opposero nessuna
resistenza e dopo due cannonate a salve da una nave in mano agli insorti sulla
Neva si arresero. Due morti in tutto. Il governo provvisorio che era riunito nel
palazzo fu mandato a casa ed al suo posto si riunì l’assemblea dei Soviet. Non
essendo comodo per le riunioni il Palazzo venne presto abbandonato. Perché lì
non c’era motivo di stare. Per quanto ne
so le riunioni dei Soviet si spostarono ben presto in un comodo albergo di
Mosca famoso per essere l’unico allora esistente fornito di acqua calda,
riscaldamento efficiente e telefoni.
La storia, che trovo divertente
ma solo fino ad un certo punto, traslata ai giorni nostri è come se un manipolo
di aderenti a Rifondazione Comunista nel 2017 occupasse la sede nazionale del
PD in via del Nazareno a Roma, ne espellesse la segreteria nazionale riunita e
si dichiarasse legittimo rappresentante della Nazione in nome del popolo.
Tranne scoprire ben presto che nei locali i telefoni sono tagliati, le
stampanti non hanno più il toner e nei bagni scarseggia la carta igienica. Insomma, che dal Nazareno si può anche
andarsene prima che faccia notte perché lì ormai non c’è più niente e se si
vuole conquistare il potere bisogna cercarlo da qualche altra parte.
2)
La notte del 4 marzo 2019 al termine delle
elezioni politiche gli exit poll prima, le proiezioni e i primi dati
consistenti poi indicavano senza ombra di dubbio il grande successo del
M5Stelle, di gran lunga primo partito italiano del momento con il 32,7% e 10,7
milioni di voti alla Camera, con un particolare trionfo in numerosi collegi del
centro sud Italia dove superava in molti casi il 40% e in alcuni anche il 50
percento. Nessun movimento o partito
politico italiano aveva raggiunto negli ultimi 70 anni un risultato così
straordinario e del tutto insolito considerato che ancora 10 anni prima,
esattamente l’8 marzo 2009 le “Liste Civiche Beppe Grillo” non ancora neanche
costituite in movimento nazionale definivano sommariamente a Firenze le “5
stelle” su cui agire nei Comuni italiani. Di presenza in Parlamento neppure si
parlava ( fig 2 ).
Qualcuno quella notte dello scorso anno in un comprensibile
sfogo di entusiasmo ha parlato di conquista dello Stato (“lo Stato siamo
noi!”). In attesa di trovare tre mesi dopo un accordo di governo, abilmente e
correttamente definito contratto (su
cose da fare) e non alleanza (fra partiti vicini) i leader vincenti ebbero il
tempo di trovare e conoscere il loro Palazzo d’Inverno, cioè la dislocazione
delle stanze di quei Ministeri da cui dare avvio a quella vera e propria
rivoluzione gentile (“il cambiamento”) che, non ho mai avuto dubbi, era ed è
ancora l’obiettivo del M5Stelle. Come
tanti altri ho provato soddisfazione ma anche preoccupazione per i risultati
elettorali. Da quasi dieci anni sono un puntuale elettore dei grillini e lo
sarò anche alla prossima puntata anche se neanche per un momento ho pensato di
farne parte. La soddisfazione derivava dal vedere decine di personaggi (di
destra e di sinistra) fra i principali responsabili del declino italiano degli
ultimi 30 anni, restare almeno per un po’ disoccupati e buttati fuori dalle
aule del nostro Palazzo d’Inverno. Le ragioni della preoccupazione sono più
complesse e vale la pena spiegarle.
3)
Dal 2013 sostengo che con tutti i mezzi non
verrà mai permesso al M5Stelle di governare davvero. Per questo siamo nel mezzo
di una guerra civile a bassa intensità che non prevede alla fine prigionieri. Si tratta di un movimento che, scontato un
lungo elenco di difetti, ingenuità, infiltrazioni, qualche trasformismo e
qualche massimalismo qua e là, ha un codice genetico incline ad un vero
cambiamento di sistema, con caratteristiche rivoluzionarie i cui punti di forza
sono sostanzialmente tre: una forte inclinazione sociale che contrasta la povertà, una forte sensibilità ambientale consapevole del nostro
precario futuro, una radicale ostilità ai fenomeni di clientelismo e corruzione
contro la casta vista in prevalenza
nei vecchi partiti. Su questi tre punti di forza, non so quanto consapevolmente
messi insieme e non so da chi, si è davvero avviato un esperimento
rivoluzionario: un movimento politico che si colloca indiscutibilmente al Centro della scena politica ( con una
impronta radicale invece che moderata ), che
assume alcuni geni fondanti della sinistra, dell’ambientalismo, ma anche
del conservatorismo popolare e di destra e promuove un progetto di reale
cambiamento che aspira a diventare maggioranza
sociale. Prefigurando una società dove si attua un riequilibrio della
distribuzione della ricchezza, una conversione in senso ecologico delle forme
disastrose dello sviluppo economico, un rinnovamento radicale della classe
politica e indirettamente delle élite sociali che la sostengono. Non ha niente
ha che fare con i cosiddetti populisti più o meno di destra che si aggirano per
l’Europa che hanno in genere obiettivi che nella loro vaghezza sono lontani e
spesso opposti.
Dopo una incerta collocazione iniziale anti UE e anti Euro saggiamente il Movimento si è corretto e ha assunto posizioni di forte critica all’ attuale funzionamento dell’Europa politica e di contrarietà alle politiche di austerità, critica ormai diffusa anche in vari altri gruppi di destra e di sinistra. Nel Parlamento europeo sulle tematiche sociali e ambientali i grillini hanno praticato le maggiori convergenze con la Sinistra della GUE e con i Verdi. In Italia il sistema dei media e i vecchi partiti li hanno accusati, ancora fino a ieri, di essere di destra (PD e alleati) o di essere pericolosi comunisti (Berlusconi e la Meloni).
Dopo una incerta collocazione iniziale anti UE e anti Euro saggiamente il Movimento si è corretto e ha assunto posizioni di forte critica all’ attuale funzionamento dell’Europa politica e di contrarietà alle politiche di austerità, critica ormai diffusa anche in vari altri gruppi di destra e di sinistra. Nel Parlamento europeo sulle tematiche sociali e ambientali i grillini hanno praticato le maggiori convergenze con la Sinistra della GUE e con i Verdi. In Italia il sistema dei media e i vecchi partiti li hanno accusati, ancora fino a ieri, di essere di destra (PD e alleati) o di essere pericolosi comunisti (Berlusconi e la Meloni).
Le ragioni originarie della mia
preoccupazione partono dalla misura dei rapporti di forza, dalla scadente
connotazione di possibili alleati che pure sono necessari e poi dall’elenco
degli errori, alcuni rilevanti, che compie l’attuale leadership ufficiale del
Movimento.
4) Il Movimento è totalmente assente dal governo delle Regioni ed è
al momento poco probabile che ne conquisti qualcuna. Fallito nei decenni scorsi
un vero federalismo ragionevole (sostituito dal miserabile autonomismo dei
leghisti ex nordisti) le Regioni sono state occupate da un personale politico
scadente con ampi varchi a clientelismo, corruzione e inefficienza e sono in
piena crisi. Nel giro di meno di due
anni nelle Regioni probabilmente si completerà il passaggio di mano dalle
clientele piddine a quelle di centro-destra quasi dappertutto. Non credo che ci
accorgeremo della differenza. Ho la convinzione che non vedremo Regioni
pentastellate.
Negli ottomila comuni italiani i
5stelle sono presenti con gruppi organizzati, in genere poco numerosi, in meno
di un quinto. Dopo alcuni successi importanti fra il 2013 e il 2018 fra i quali
i tre principali sono Roma, Torino, Livorno, meno di una cinquantina di comuni
su ottomila hanno un governo a 5Stelle. Alcuni sono già stati persi al secondo
giro. Improbabile che ci siano nuovi
sindaci grillini nelle due prossime scadenze parziali del 2019 e del 2020, specie
nei comuni a doppio turno.
Le defezioni o le espulsioni dal
Movimento riguardano circa il 10 % degli eletti totali che credo siano oggi quasi
quattromila. Non trovo dati precisi. Perfino al Parlamento Europeo, abbastanza
fuori dalla mischia e con numerosi riconoscimenti positivi del lavoro del semigruppo
all’interno dell’EFDD, sono partiti in 17 e arrivati in 11. Se la coesione e l’organizzazione
interna è così precaria quanti mesi dureranno le cinque Capolista scelte da Di
Maio o chi per lui che nessuno conosce e che poco conoscono del M5S? Preciso
che su espulsioni e defezioni non mi sono mai sentito vicino ai “dissidenti”
che in genere non hanno mai espresso proposte alternative di comportamento che
fossero ragionevoli utilizzando invece forme di contestazione subito
usate dai media con il loro neanche velato consenso. Non conosco ex grillini
che non abbiano fatto altro che varcare il fiume e accasarsi (in attesa di
scomparire) in uno dei vecchi partiti. Solo alcuni sono scomparsi dalla scena, rari
quelli che si sono dimessi. Anche questa esperienza mostra, se ce ne era
bisogno, che l’art. 67 della Costituzione, che garantisce la totale autonomia
degli eletti senza alcun vincolo di mandato, richiede dei correttivi almeno
regolamentari che limitino il trasformismo ed il cambio di casacca dilagante.
5)
Da qualche tempo il flusso spontaneo di nuove
adesioni al Movimento si è ridotto. Secondo me è vicino a zero. Non ci sono
campagne di adesione di nessun tipo, l’attivismo e un po’ di proselitismo è
prevalentemente concentrato sulle scadenze elettorali del momento. Pochissime le attività permanenti sul
territorio in particolare quelle rivolte alla costruzione stabile di reti
popolari o giovanili o di tutela ambientale o di azione civica. Sarebbero
necessarie grandi campagne di stimolo al volontariato
specie giovanile e consulte popolari
dove i 5stelle hanno possibilità di governo. Iniziative simili promosse dai
gruppi 5stelle sono inesistenti. Altri non ci sono in grado di promuoverle. Casaleggio
(figlio) meno di due anni fa aveva annunciato l’obiettivo di un milione di iscritti
attivi alla piattaforma Rousseau. Mi sembra che siano fermi a poco più di
100mila (pochissimi per un movimento che ha raccolto un terzo dell’elettorato attivo)
e di fatto difficilmente più di 25-30mila partecipano alle votazioni più
importanti. A me il perché sembra chiarissimo. Un iscritto al Movimento che non
ha aspirazioni a candidarsi da qualche parte, dopo qualche tavolo preelettorale
e qualche clic su Rousseau non ha nulla a cui partecipare, al massimo per non
annoiarsi troppo si butta su FBK dove troverà di certo qualcuno con cui
scambiare like o insulti e dove esprimere in 6-7 righe il suo punto di vista
sul mondo, con nessuno discusso, basato su quanto ha letto sui giornali online
o ascoltato nell’ultimo talk show della sera prima in tv.
La piattaforma Rousseau è un utilissimo strumento tecnico per facilitare la consultazione degli iscritti. Ma ha un senso se a monte ci sono luoghi o reti dove si impostano e si discutono idee e progetti in modo approfondito, si diffondono nelle due direzioni fra base e vertici, se ne fa una sintesi in gruppi dirigenti di ambito regionale che sono indispensabili e possono annualmente essere rinnovati, si assumono da o si propongono a movimenti sociali e aree culturali, soggetti economici, associazioni e gruppi civici attivi che non siano caricature mascherate di questo o quel partito. Poi si sintetizzano in leadership nazionali non monocratiche e si traducono in atti di governo, azioni referendarie, campagne di mobilitazione. Roussou fa questo? Se non fa questo con una qualche visibile efficacia a che cavolo serve?
La piattaforma Rousseau è un utilissimo strumento tecnico per facilitare la consultazione degli iscritti. Ma ha un senso se a monte ci sono luoghi o reti dove si impostano e si discutono idee e progetti in modo approfondito, si diffondono nelle due direzioni fra base e vertici, se ne fa una sintesi in gruppi dirigenti di ambito regionale che sono indispensabili e possono annualmente essere rinnovati, si assumono da o si propongono a movimenti sociali e aree culturali, soggetti economici, associazioni e gruppi civici attivi che non siano caricature mascherate di questo o quel partito. Poi si sintetizzano in leadership nazionali non monocratiche e si traducono in atti di governo, azioni referendarie, campagne di mobilitazione. Roussou fa questo? Se non fa questo con una qualche visibile efficacia a che cavolo serve?
6) Al momento del successo elettorale dello
scorso anno il sistema dell’informazione (i media) era più o meno quello di
oggi: cinque quotidiani nazionali di rilievo, una decina di importanza minore e
circa 500 testate locali, tutti referenti a pochi editori “non puri”, cioè la
proprietà ha altre attività economiche prevalenti di cui la carta è solo
strumento di sostegno. Otto canali televisivi di rilievo di cui quattro
pubblici e complessivamente circa 360 canali tv privati facenti parte per lo
più di quattro gruppi ( Sky, Mediaset, Fox, Discovery). Tutti i citati dopo aver compreso il
lungimirante messaggio di Casaleggio (padre) di più di dieci anni fa sul ruolo che
avrebbe assunto la rete, si sono dotati di corsa di una consistente proiezione
sul web (forse solo la RAI, come sostiene la Gabanelli, è rimasta indietro).
Il problema è che il 99 percento (stima prudente) degli editori, direttori, capi redazione, cronisti di punta, giornalisti, editorialisti di questo sistema mediatico, indifferentemente se di destra o di sinistra, se pubblico o privato, sono apertamente OSTILI al Movimento 5Stelle, come lo sarebbero per qualunque altro movimento che dichiara e tenta di praticare davvero progetti di cambiamento radicale della società italiana. Sono ostili perché sono il prodotto di una selezione naturale di figure che da anni sostengono le vecchie élite e discriminano nell’informazione gli altri. Se domattina un famoso editorialista di punta di un quotidiano di rilievo si innamorasse perdutamente di una grillina o di una battagliera notav e per aumentare le proprie possibilità, magari approfittando della assenza per malattia del caporedazione, pubblicasse un intervento a favore dei 5Stelle o dei notav, non avrebbe la possibilità di pubblicarne un secondo perché il giorno dopo sarebbe fuori dalla redazione o a scrivere di sagre paesane della Val d’Aosta.
Il problema è che il 99 percento (stima prudente) degli editori, direttori, capi redazione, cronisti di punta, giornalisti, editorialisti di questo sistema mediatico, indifferentemente se di destra o di sinistra, se pubblico o privato, sono apertamente OSTILI al Movimento 5Stelle, come lo sarebbero per qualunque altro movimento che dichiara e tenta di praticare davvero progetti di cambiamento radicale della società italiana. Sono ostili perché sono il prodotto di una selezione naturale di figure che da anni sostengono le vecchie élite e discriminano nell’informazione gli altri. Se domattina un famoso editorialista di punta di un quotidiano di rilievo si innamorasse perdutamente di una grillina o di una battagliera notav e per aumentare le proprie possibilità, magari approfittando della assenza per malattia del caporedazione, pubblicasse un intervento a favore dei 5Stelle o dei notav, non avrebbe la possibilità di pubblicarne un secondo perché il giorno dopo sarebbe fuori dalla redazione o a scrivere di sagre paesane della Val d’Aosta.
Per fare un esempio se si segue con
metodo per qualche giorno gli editoriali di Stampa, Repubblica, Corriere o il
palinsesto quotidiano di La7, Rainews24, Italia1, è praticamente impossibile
non trovare tutti i commenti politici di testa prevalentemente costruiti in forma
di denigrazione dei 5Stelle, oppure inventati per celare episodi sconvenienti
riguardanti altri partiti o altri soggetti sociali di rilievo. In questi giorni
in Umbria, Calabria, Lazio si sono susseguiti in modo impressionante episodi gravi
di possibile rilievo penale per il PD (a cui fanno riferimento la maggioranza dei
commentatori dei media cresciuti nel decennio passato) Si sono aggiunti episodi riguardanti la
Lega con suoi esponenti di rilievo nazionale. Puntualmente si è subito inventata e riaperta una
campagna mediatica contro la Raggi (valutata evidentemente come punto debole) che
rioccupa così da giorni i titoli di testa di giornali e tv. I presupposti della
campagna denigratoria sono ridicoli nella loro scarsa consistenza. Così di
nuovo si dà anche fiato a Salvini, come hanno fatto per mesi i giornali
“progressisti”, malgrado recentemente si fossero tutti accorti di avere
esagerato nel favorirlo. Si aggiunge addirittura il problema dei 12 miliardi di
debiti della Capitale (o meglio dei relativi alti interessi che nessuno ha
mai provato a rinegoziare) sorvolando sul fatto che riguardano le gestioni
precedenti di Veltroni, Rutelli, Alemanno e Marino. Si tratta evidentemente di una guerriglia mediatica, un lavoro da untori manzoniani più che da cronisti neutrali, che non ha nulla di spontaneo e sta anzi aumentando con l'avvicinarsi delle elezioni, mentre si imporrebbe
l’apertura di un dibattito sulla differenza fra libertà di stampa, libertà di
diffamazione, etica dei produttori di notizie. Sul tema non vedo però alcuna efficace
reazione dei leader 5stelle.
7)
Per avviare un cambiamento sociale che
richiede comunque anni non basta vincere le elezioni. Si tratta di disgregare
una alleanza sociale consolidata da tempo (che ho chiamato “la palude di centro”)
e costruirne un'altra a partire dal risultato elettorale dove sono
inevitabilmente confluite molte persone che, tranne i giovani neovotanti, si
portano dietro dal passato retaggi culturali precedenti. Per consolidare una alleanza
e maggioranza sociale diversa non basta il successo elettorale ma serve un
solido intervento culturale che anche sul territorio dia un’idea concreta di nuova
comunità e di sensibile cambiamento. Altrimenti è inevitabile che le campagne diffamatorie
abbiano un qualche effetto disgregativo almeno in direzione del ritorno all’
astensione totale. I leader del Movimento magari frastornati potrebbero fare il
tragico errore di tergiversare sugli obiettivi e illudersi che un maggiore
moderatismo permetta di sopravvivere. I
5Stelle hanno uno spazio egemonico come centro radicale, non ne avrebbero
nessuno se si adeguassero ad un moderato centrismo mediatorio ed inefficiente.
Nelle elezioni politiche del 2013
il M5S ha ottenuto alla Camera 8,7
milioni di voti ( 25,5%) ma già nel 2014 alle Elezioni europee, nel pieno del sostegno dei media verso Renzi
e l’illusoria opzione della rottamazione i voti del M5S scendevano a 5,8 milioni ( 21,2%). Con la fine del renzismo, con l’assenza momentanea di altri referenti forti
delle élite sociali e la crisi evidente dei sistemi politici e delle burocrazie
europee su tutti i terreni, nelle ultime elezioni del marzo 2018 gli elettori
hanno dato al Movimento 10,7 milioni
di voti. Però, a differenza del 2013, con un forte squilibrio fra nord e sud (
fig 3).
E’ bene chiarire che il successo dei grillini non ha affatto svuotato
il grande serbatoio degli astenuti ma casomai ha momentaneamente sguarnito il
paniere elettorale degli altri partiti e raso al suolo praticamente tutti i
potenziali elettori dei partiti minori che ormai sopravvivono solo come
minuscoli gregari di altri. Nelle elezioni politiche del 2013 come in quelle del
2018 il totale vero delle astensioni (sempre scorrettamente sottostimate dai
media che non vi includono bianche e annullate) è stato di circa 16,8 milioni
di elettori su un corpo elettorale di circa 50,5 milioni compreso il voto
all’estero. Alle europee del 2014 le astensioni sono arrivate alla cifra record
di 23,2 milioni. Una involontaria e inconsapevole ma perfetta quinta colonna delle Élite. Il M5Stelle è passato quindi dagli 8,7 mil. del 2013 ai 5,8
del 2014 ai 10,7 milioni del 2018 sfiorando solo una piccola parte degli astenuti.
L’esercito degli astenuti, visto come un miracolo di San Gennaro dagli altri
partiti, è invece un problema serio per i 5Stelle. Se alle imminenti elezioni
europee non sono in grado di riguadagnare alle urne alcuni milioni di astenuti
del 2014 si profila una storica sconfitta che porterebbe ad una rapida fine del
governo, al profilarsi sicuro di un nuovo governo postelettorale di destra
basato sull’asse Salvini-Meloni che, se fossero attendibili alcuni degli attuali
sondaggi, è già a ridosso del 40%. Se il M5S tornasse ai voti del 2014,
perdendo in un anno 5 milioni di voti, la storia del M5Stelle secondo me
sarebbe nella sostanza conclusa.
8) Poiché dalla riflessione sugli errori fatti
c’è sempre da imparare, almeno per chi si vuole assumere responsabilità di
leadership, ne indico alcuni clamorosi che a mio parere hanno portato il
Movimento alle attuali difficoltà.
Il primo riguarda la
primavera dei referendum del 2016 (fallita clamorosamente) perchè promossa in modo
confuso e settario da vari gruppi tutti referenti al variegato arcipelago della
sinistra cosiddetta radicale,
dell’ambientalismo di base e di alcuni comitati o associazioni civiche.
L’incapacità dei vertici, come sempre, di promuovere aggregazioni unitarie ha
portato alla mancata raccolta delle firme e all’insuccesso. In aprile
nel voto promosso da alcune Regioni sulle trivelle rimasto senza quorum con soli 15,8 milioni di votanti, si era già avuto il primo segnale dell'insuccesso incombente. Abbiamo vinto successivamente,
nel dicembre dello stesso 2016 l’unico referendum che non abbiamo promosso,
cioè quello del PD di Renzi sulle modifiche elettorali e costituzionali. I 12
referendum e iniziative di legge popolare della primavera erano importantissimi
e riguardavano il lavoro, la scuola, le trivelle, gli inceneritori, l’acqua
pubblica e i beni comuni. Se il loro fallimento per mancanza di firme ha chiuso di fatto la storia del frammentato
arcipelago della sinistra più o meno civica e ambientalista che ormai non è più
neanche in grado di presentare agli elettori qualcosa di credibile, trovo
incomprensibile capire perché il M5Stelle, pur condividendo in gran parte i quesiti,
non si sia impegnato davvero nella campagna referendaria pur non essendone
diretto promotore. In 10 giorni si sarebbero raccolte le firme, i referendum si
sarebbero stravinti, l’Italia avrebbe avviato un grande processo riformatore,
probabilmente con maggiori possibilità di successo della illusoria presa del
nostro Palazzo d’Inverno occupato insieme con un manipolo di leghisti che gioca
con la xenofobia, con le nostalgie di qualche postfascista del terzo millennio
e con le paure in buona parte non motivate dell’invasione degli extra
comunitari.
In generale non capisco perché i 5Stelle non abbiano mai promosso o sostenuto da soli o con altri iniziative referendarie che si sono rivelate nella storia italiana fra le novità più importanti. Inoltre l’intenzione di riformare i referendum eliminando fra l’altro il quorum del 50% che li squalifica di molto (una radicalata che forse neanche la Bonino sostiene più) è uno dei più incredibili errori che mi lascia allibito.
In generale non capisco perché i 5Stelle non abbiano mai promosso o sostenuto da soli o con altri iniziative referendarie che si sono rivelate nella storia italiana fra le novità più importanti. Inoltre l’intenzione di riformare i referendum eliminando fra l’altro il quorum del 50% che li squalifica di molto (una radicalata che forse neanche la Bonino sostiene più) è uno dei più incredibili errori che mi lascia allibito.
Il secondo errore riguarda
la scelta di concentrare tutti i ruoli di vertice in un'unica persona: il cosiddetto”
capo politico”. Per un movimento di tipo radicale è la scelta più ingenua che
si possa fare e ne ho già parlato a riguardo di Iglesias per Podemos. In un
primo momento sembra una scelta che funziona, perché sembra dare visibilità al
gruppo concentrandola sul leader. Lo hanno fatto in tanti ma se non sei il
rappresentante delle èlite dura un po’ poi finisce malissimo. Dura fino a
quando tutti gli oppositori del Movimento e i media di supporto non ne colgono i punti deboli e
quindi concentrano su questa figura gli attacchi fino ad abbatterlo o renderlo imbelle
(che è la stessa cosa). In realtà così si mette in secondo piano il progetto di
alternativa del Movimento che è il punto di forza dei grillini, non Di Maio o chiunque
altro lo sostituisse. Va aggiunto, anche se pochi lo ricordano, che Di Maio come leader
grillino è stato scelto prima di tutto dai media per la sua supposta moderazione,
e Grillo seppure con i suoi soliti toni ironici non ha mancato di segnalarlo. Più
in generale la formula organizzativa del M5S, confusa e alla fine verticistica, non
reggerà alla scadenza del secondo mandato per tanti (che è alle porte). Già i
verdi italiani la sperimentarono negli anni ’80. Quando venne archiviata la
regola del doppio mandato (ovviamente dopo 8-10 anni dalla nascita ) e venne sostituita dal
solito leader unico si risolse con il conseguente disastro. La scadenza si sta rapidamente
avvicinando anche per Di Maio e sarebbe utile avviare per prima cosa la
costruzione di gruppi dirigenti regionali utili anche per chi ha superato i due mandati oltre che per riacquisire più vicinanza
ai tanti movimenti locali.
Il terzo errore riguarda
la ambiguità nel chiarire fin dall’inizio le differenze fra i due alleati di
governo e quindi gli inevitabili limiti del governo stesso. E’ evidente che se
progetti come il TAP, il Terzo Valico, fino all’ILVA, alla TAV o agli F35 non
sono fermati o sospesi e modificati come promesso nella campagna elettorale è
conseguenza dei rapporti di forza non di tradimenti. Chi parla di tradimento
delle promesse elettorali promettendo vendetta, se non è in malafede ha come
unico risultato di accentuare le difficoltà e l’isolamento perché senza
alleanze sociali e istituzionali non si vince nessuna battaglia.
Ma la difficoltà a esprimere con chiarezza una propria visione è avvenuta in particolare sul tema dell’immigrazione. Se le polarizzazioni estreme del binomio razzisti/antirazzisti sono inaccettabili entrambe, era doveroso dall’inizio spiegare e attuare percorsi concreti di immigrazione controllata che bloccassero il flusso ingestibile di immigrazione irregolare, che diventa in gran parte inevitabilmente clandestina e fuori controllo. Una alternativa, certo non facile, che deve essere tentata per indicare all’intera Europa una strada praticabile e indebolire le tendenze xenofobe. Per ogni immigrato che arriva con i barconi c’è un gruppo criminale che incassa alcune migliaia di euro o di dollari e in questi viaggi della disperazione è scontata una rilevante percentuale di morti. Così come si sa che una parte non marginale degli arrivati è o diventerà succube del giro di prostituzione, schiavismo, spaccio, lavoro nero etc. La questione irresponsabilmente non viene valutata a sufficenza dai fautori dei “porti aperti, porte aperte”. Viene invece vergognosamente usata da chi fa le proprie fortune elettorali seminando paura, xenofobia, fino a retaggi fascisti che in questo caso fanno leva sul rischio “invasione”. Il risultato è il regalo del 40 percento possibile di elettori al duo Salvini-Meloni secondo alcuni sondaggi. Io non ho nessun dubbio che si debbano chiudere completamente gli ingressi irregolari nella misura del possibile ma questo è accettabile solo se contemporaneamente si aprono strade di emigrazione alla fonte che permettano, specie nelle situazioni di crisi (guerra, clima, fame) un flusso consistente di entrate regolari per i quali si garantisca accoglienza e vera integrazione..
Ma la difficoltà a esprimere con chiarezza una propria visione è avvenuta in particolare sul tema dell’immigrazione. Se le polarizzazioni estreme del binomio razzisti/antirazzisti sono inaccettabili entrambe, era doveroso dall’inizio spiegare e attuare percorsi concreti di immigrazione controllata che bloccassero il flusso ingestibile di immigrazione irregolare, che diventa in gran parte inevitabilmente clandestina e fuori controllo. Una alternativa, certo non facile, che deve essere tentata per indicare all’intera Europa una strada praticabile e indebolire le tendenze xenofobe. Per ogni immigrato che arriva con i barconi c’è un gruppo criminale che incassa alcune migliaia di euro o di dollari e in questi viaggi della disperazione è scontata una rilevante percentuale di morti. Così come si sa che una parte non marginale degli arrivati è o diventerà succube del giro di prostituzione, schiavismo, spaccio, lavoro nero etc. La questione irresponsabilmente non viene valutata a sufficenza dai fautori dei “porti aperti, porte aperte”. Viene invece vergognosamente usata da chi fa le proprie fortune elettorali seminando paura, xenofobia, fino a retaggi fascisti che in questo caso fanno leva sul rischio “invasione”. Il risultato è il regalo del 40 percento possibile di elettori al duo Salvini-Meloni secondo alcuni sondaggi. Io non ho nessun dubbio che si debbano chiudere completamente gli ingressi irregolari nella misura del possibile ma questo è accettabile solo se contemporaneamente si aprono strade di emigrazione alla fonte che permettano, specie nelle situazioni di crisi (guerra, clima, fame) un flusso consistente di entrate regolari per i quali si garantisca accoglienza e vera integrazione..
Per concludere non si può
evitare di sottolineare la totale assenza di voce del M5Stelle nelle
mobilitazioni che si sono avviate in seguito alla inefficacia delle strategie
energetiche sui Cambiamenti climatici che
con l’iniziativa di Greta Thumberg hanno
ridato un po’ di spazio a chi richiede l’abbandono dei fossili.
Le strategie energetiche e di sviluppo delle rinnovabili con i governi Letta, Renzi, Gentiloni (maggio 2013 - marzo 2018) con l’apporto penoso dell’ex ministro Calenda, sono state un vero disastro. Abbiamo praticamente perso quasi 5 anni ( fig 4) ma la piccola svolta fino ad oggi visibile del governo Conte, positiva malgrado il crollo dell’idroelettrico a causa della siccità, non segnala grandi novità: Siamo risaliti a circa il 33% di rinnovabili ma senza i 5 anni persi potremmo essere al 50%. Il Piano nazionale integrato Energia e Clima che dovrebbe essere definito per fine anno (se il governo ci arriverà) non è all’altezza della crisi ma per il momento soltanto Greenpeace e pochi altri portano all’attenzione l’importanza dell’appuntamento. L’impressione che la gestione Di Maio-Toninelli-Costa sia particolarmente debole e incerta su tutte le problematiche ecologiste è ormai diffusa anche all’interno del Movimento. Singolare che pur nella situazione di attacco e di crisi che vive la leadership 5Stelle nessuna voce e soprattutto nessun atto concreto abbia risposto alle mobilitazioni accanto a Greta ed alla evidente radicalizzazione ecologista, specie fra i giovani della generazione 100, che, insieme all’avvio del reddito di cittadinanza, sembrano l’unica positiva novità recente nel nostro paese.
Sarà banale ma le rivoluzioni si
fanno nella società mentre il nostro Palazzo d’Inverno si può conquistare e si può
perdere. Ad esempio, i referendum del 1987, 2011, 2016 hanno portato ad alcuni grandi
cambiamenti alla società italiana.
Il Movimento fondato da Grillo ha fatto bene
all’Italia e mi auguro che vada avanti e non si snaturi. Se questo Movimento
dovesse andare a pezzi si dovrà pensare a come
costruirne un altro molto simile magari evitando gli errori più evidenti .
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