di Massimo Marino
1 Quattro miliardi di
elettori dovrebbero votare durante l’ anno in corso per rinnovare i propri
governanti. E potrebbero essere di più vista l’instabilità diffusa in varie
aree del pianeta. Un appuntamento affollato mai sfiorato nella storia dell’umanità che ci costringe a
osservare gli avvenimenti di questi dodici mesi con attenzione, distogliere un
po' di energie dalle nostre cose del quotidiano
e riflettere con maggiore impegno per capire dove stiamo andando. Perché, che
ci piaccia o no, che ci interessi o no, alla fine di questo appuntamento della
storia non saremo probabilmente più nel pianeta di questi ultimi decenni del
dopoguerra. Non è epoca di stabilità,
anzi la tendenza al cambiamento, dal clima, alla politica, alla spinta alla
guerra, alle migrazioni, alle disuguaglianze, sembra farsi più forte. Basti
pensare all’appuntamento singolare e preoccupante delle prossime elezioni di
novembre in USA. Per chi si sente a disagio in questo scenario precario ma
vorrebbe dei cambiamenti radicali si fa
più forte la domanda: ma dove stiamo andando e quale strade abbiamo per
percorrere una alternativa ?
2 Parecchi appuntamenti li abbiamo già superati: fra i più
rilevanti le elezioni in Russia, in
India e in Iran, le elezioni europee in 28 nazioni, quelle recenti in Gran
Bretagna e Francia, in Bangladesh, Indonesia
e Pakistan, in Messico e Brasile, le ultime in Venezuela. In vari paesi,
dalla Russia all’Iran fino al Venezuela la validità stessa del voto e dei
risultati è già stata fortemente contestata. Il dato prevalente e
sconfortante degli ultimi anni è che molte figure istituzionali o presidenziali
assumono crescenti caratteristiche autoritarie abbandonando a volte apertamente
qualunque parvenza democratica.
Anche in molti paesi considerati “democratici” il proliferare
negli ultimi decenni di sistemi e regole
di tipo maggioritario fortemente distorsive, in genere debolmente giustificate
da obiettivi di stabilità, impediscono una lineare e libera espressione delle
scelte degli elettori che solo vagamente percepiscono di essere privati del
diritto di veder rappresentata la scelta dei propri rappresentanti in modo
proporzionale e regolato con trasparenza. E’ un fatto che la tendenza
all’astensione sia ormai diffusa. Forme
di presidenzialismo autoritarie, collegi di voto uninominali, premi di
maggioranza, coalizioni prevoto forzate con quorum differenziato per chi sta
fuori o dentro le coalizioni che a volte non sono attuate dopo il voto, regole
di voto diverse in regioni diverse o collegi speciali, doppi turni e
ballottaggi a due o multipli, possibilità di voto disgiunto su due diverse
aggregazioni, limiti di mandato multipli dichiarati e non rispettati. Solo apparentemente
si tratta di uno strampalato elenco di “ regolette “ che, ho ben chiaro, non sollevano
l’interesse di molti che a volte neppure ne conoscono gli effetti. In realtà
tutte convergono verso un unico obiettivo: distorcere e forzare l’espressione
libera del voto e far saltare la proporzionalità fra i voti espressi e i seggi
ottenuti. In definitiva è considerato accettabile invalidare una parte più
o meno rilevante dei voti espressi ( spesso si tratta di molti milioni di
voti) e riassegnarli a qualcun altro, spesso il diretto avversario. In molte realtà vige un
tacito accordo fra due poli che occupano spazi apparentemente contrapposti che per
garantire la propria eterna sopravvivenza soffocano ogni nuovo protagonista e
qualunque reale alternativa ( lo chiamano bipolarismo e democrazia
dell’alternanza). Spesso ignoriamo o
dimentichiamo le conseguenze di questo imbroglio, diffuso in parecchi paesi
“democratici”, che spesso viene
giustificato, da destre e sinistre varie, dal falso obiettivo di garantire la
stabilità. Vuole invece impedire o ridimensionare una vera democrazia
partecipata e qualunque cambiamento democratico. A rischio di annoiare
faccio solo qualche esempio:
- gli elettori degli Usa da 240 anni
non hanno la concreta possibilità di votare altro che i democratici o i
repubblicani. In un paese di 350 milioni di abitanti, dominato dal potere
assoluto di una decina di soggetti economici e finanziari, forse
il più potente del mondo, multireligioso, multirazziale, baluardo
dell’occidente, sarebbe naturale la
presenza di 5 o anche 10 partiti. Invece è praticamente resa impossibile anche
solo la esistenza stabile di un terzo partito. Con le elezioni uninominali,
dove ognuno dei 50 stati è un collegio con un unico soggetto vincitore, a novembre si potrebbe tranquillamente circoscrivere
il voto a 6-7 stati perché in almeno una quarantina già oggi è chiaro chi verrà
eletto. Il “ voto popolare “, come viene chiamata la somma dei votanti, non ha
alcun rilievo ed è già successo che il Presidente eletto non sia quello più
votato ma dipenda da qualche migliaio di voti conquistati, rubati o comprati in
una o due contee sperdute del paese.
- nelle recenti elezioni politiche in
Gran Bretagna basate su 650 collegi uninominali i laburisti, pur con un aumento
irrilevante dei consensi hanno “ stravinto” con un esorbitante aumento dei
seggi rispetto a quelli che avrebbero dovuto ottenere in proporzione ai voti.
Con questo sistema aberrante basato su un bipolarismo inventato e tutelato da
conservatori e laburisti può succedere
di tutto. Ad esempio i verdi, che in questa occasione hanno triplicato i propri
voti, hanno ottenuto 4 eletti invece di 44.
- nelle recenti legislative in Francia,
anticipate da Macron per contenere la dissoluzione del proprio centrino confindustriale
antilepenista e antisinistra, i collegi uninominali con doppio turno imposti
dagli anni ’60 con la nascita della “quinta repubblica” di De Gaulle, costringono
all’invenzione di coalizioni dell’ultima ora. Semipresidenzialismo e maggioritario deformano
il sistema politico con l’aumento della instabilità, la crescita del polo della
destra estrema, ogni volta alla sfida di prendere un voto in più nel collegio,
ed una caotica presenza di aggregazioni instabili che non hanno basi solide di
unione. Si impedisce da anni il ritorno ad un sistema più serio di tipo
proporzionale ( “la sesta repubblica” ) che socialisti e macroniani alla fine boicottano,
con il tacito assenso della destra. Il risultato di questo ormai insopportabile
pasticcio è palese ed al di là di facili trionfalismi da fronte popolare è
arduo valutare chi un mese fa abbia vinto o perso le ultime elezioni francesi,
mentre Macron, noto come il politico più odiato di Francia, è sempre lì.
- è bene ricordare che l’attuale
centrodestra che governa l’Italia è il prodotto dei collegi uninominali del
rosatellum, inventati da PD e CDX prima
delle politiche del 2018 immaginando di
contenere così il successo travolgente del M5Stelle e che invece regalano oggi l’Italia ad un minoritario destracentro dal
settembre 2022. Se si fosse rispettato il
voto in modo proporzionale, con un opportuno quorum o con le semplici
regole delle elezioni europee, il governo Meloni non sarebbe mai nato perché
non ha alcuna maggioranza nel paese ( 12 milioni di elettori su 50).
Nessuna alternativa è possibile, nessun
processo costituente sta in piedi, nessuna democrazia partecipata, nessuna
tutela dei principi costituzionali è praticabile nel momento in cui contro le
vocazioni maggioritarie, autoritarie e presidenzialiste non si apre un
fronte comune che difenda il sistema proporzionale ( senza premi,
coalizioni prevoto, collegi uninominali, doppi turni) ragionevolmente limitato solo
da un quorum sufficientemente elevato,
che non ha nulla a che fare con il “proporzionale puro“ senza quorum. Si
favorirebbero nuove aggregazioni stabili e mature, e sarebbe anche più facile esercitare
proposte di alternativa che sono praticamente assenti dalla scena oggi dominata
da frammentazione, subalternità e trasformismo. In Italia come in Francia o
Gran Bretagna questo è l’unico “fronte popolare” davvero necessario per
difendere le democrazie occidentali che appassiscono nel rischio della guerra,
della crisi climatica, dell’autoritarismo, senza protagonisti alternativi che
riescano a cambiare strada.
3 negli ultimi dieci
anni ho seguito con una particolare attenzione l’evoluzione di tre esperienze
politiche, tutte nell’occidente europeo, che in forme diverse fra loro hanno
avuto un ruolo di rilievo nel tentativo di costruire una alternativa culturale,
sociale e istituzionale che superasse le vecchie sovrastrutture politiche
organizzate nate alla conclusione della seconda guerra mondiale: Il M5Stelle
in Italia, i Verdi in Germania, Podemos in Spagna. Tre realtà che, viste
dall’alto, hanno avuto tantissimo in
comune: l’attenzione alla crisi sociale e ambientale, la dichiarata volontà di
lotta alla corruzione, il ripudio della violenza e della guerra nella
dialettica sociale e internazionale, la scelta della convivenza e della
tolleranza interreligiosa e interetnica,
ma soprattutto la dichiarata volontà di costruire una alternativa all’intero
sistema politico del dopoguerra.
Certo su tutt’altri piani il movimento per il clima dietro Greta Thunberg, l’esperienza di convivenza
curda-interetnica del Rojava e delle
donne dell’YPA, la fase iniziale dei gilets
jaunes in Francia sono stati fenomeni, come vari altri, di un rilievo importante.
Non dimenticando le pluriennali
esternazioni per la giustizia sociale di Papa Francesco. Ma non hanno sconfitto
le aggregazioni che impediscono qualunque cambiamento. A mio parere queste
tre esperienze politico-istituzionali nell’intero pianeta hanno avuto invece un
ruolo di rilievo particolarmente significativo.
Questi tre attori politici
dell’alternativa ci hanno illusi.
In momenti diversi hanno sfiorato l’egemonia sul piano elettorale come
protagonisti di governo nel loro paese con la promulgazione di atti di
legislazione di riformismo radicale nel
campo della tutela ambientale, della giustizia sociale, della denuncia della
crisi del sistema politico. Tutti e tre hanno subito un pesante attacco, che
non ha precedenti nel dopoguerra, da diverse e anche opposte parti politiche
con il chiaro obiettivo di ridimensionarne o azzerarne il ruolo e rendere
inefficaci le loro proposte di maggior rilievo. Tutti e tre vivono oggi una
fase di grande crisi che rischia di
cancellarli dalla scena politica o renderli ininfluenti. E’ necessario capire
perché e cosa si può fare.
Il M5Stelle, quello che ne resta dopo molteplici
defezioni e sconfitte, dichiara l’impegnativa intenzione di promuovere in
autunno una fase costituente con il rilevante obiettivo di attuare nuove forme
di democrazia partecipata ( una maturazione della democrazia diretta nella
quale i sostenitori dovrebbero decidere cosa e come rifondare forme e contenuti della propria azione). Sostengo
da tempo che il dramma dei 5stelle non è nel non comprendere le ragioni della
sconfitta ma nel non avere mai compreso le ragioni reali del loro travolgente
successo. Il progressivo ridimensionamento elettorale ( dagli 11 milioni nel
2018 ai 2,3 delle recenti europee), la disgregazione nel territorio dove oggi i
gruppi locali ufficiali risultano 300 su 8000 comuni, gli abbandoni che
continuano, mi sembrano la conseguenza della
difficoltà a mantenere la loro connotazione genetica che si è espressa
con successo fuori dagli schemi destra-sinistra tradizionali. Diventa incerto il proprio riformismo radicale
che non può che stare al centro della società, avere caratteristiche di
aggregazione maggioritaria e costruire le indispensabili alleanze e mediazioni solo su chiari impegni di programma. Un
progetto meno difficile di quanto sembri che però non può essere ridotto ad una
indefinita vocazione progressista o di qualunque altro tipo, se diventa incerta
nei contenuti rischiando di adeguarsi
agli schemi della vecchia politica che portano solo alla irrilevanza. Ne
consegue anche l’inaccettabile fenomeno dei cambiacasacca ( che io chiamo
cambiapelle ) che trovano nel movimento ancora oggi solo un approdo di
passaggio da cui migrare in tutte le direzioni con l’illusione, in realtà
sempre smentita, di garantirsi un futuro personale in qualche anfratto della
politica tradizionale.
Podemos in Spagna, dopo il successo travolgente fra il 2014 e il
2016, che sembrava avviarlo a diventare il primo partito spagnolo sulle macerie
di Popolari e Socialisti, ha progressivamente mancato tutti gli appuntamenti
della storia. Ha concentrato troppo su una figura (Iglesias) la propria
immagine ( lo stesso errore dei 5stelle sulla figura di Conte), ha sfumato la
propria origine di novità nata dai movimenti di contestazione dei 15-M e degli
Indignados, collocandosi troppo nelle logiche di alleanze e disalleanze della sinistra
moderata ed estrema ( stesso problema dei postgrillini). Non ha retto
garantendo la tenuta del primo governo minoritario di Sanchez nel 2018 (difficoltà
somigliante a quella dei verdi tedeschi nel governo a tre con l’SPD di Scholz e
i Liberali ed a quella dei 5Stelle nel Conte 2 con il PD e nell’appoggio al successivo
governo Draghi.) Disastrosa per Podemos nel
gennaio 2023 la partecipazione all’alleanza multiforme di Sumar di Yolanda Diaz
che comunque non è andata al di sopra del 12% alle ultime elezioni politiche
del luglio 2023 ed è già in disfacimento. Una nuova e difficile rifondazione di
Podemos con Irene Montero e Ione Belarra
si è avviata con le elezioni europee ( usciti di scena Iglesias ed anche le
componenti che con Íñigo Errejón si erano scisse nel 2019). Nelle storiche elezioni politiche ripetute
del giugno 2016 Unidad Podemos aveva sfiorato i 6 milioni di voti e più di 70
eletti (su 350). Nelle recenti elezioni europee, dopo la separazione
dall’aggregato di Sumar, Podemos ha
ottenuto 578mila voti e due eletti, mentre l’aggregato di Sumar ha raggiunto
solo 818mila voti e 3 eletti. Circa 5 milioni di voti si sono dissolti. Per otto
anni Podemos e Iglesias in particolare, hanno subito una permanente aggressione
mediatica con diversi mandanti politici ed economici, ma prima di tutto promossa
dall’area dei Popolari di Rajoy che governava fra il 2015 e il 2016, sempre nella
totale indifferenza dei Socialisti. In queste ultime settimane di fine luglio dei giudici hanno aperto un indagine
su quei fatti (scandalo che alcuni chiamano il Watergate spagnolo) che videro,
in un paese democratico, una azione prolungata di spionaggio e di discredito
contro tutti i deputati di Podemos che coinvolse 2700 agenti del ministero degli interni, 57
commissariati di polizia e decine di giornalisti che avevano l’obiettivo di
impedire il successo di Podemos e minarne la credibilità con quotidiane accuse
inventate e campagne giornalistiche diffamatorie.
I Verdi tedeschi hanno un età e una storia diversa da
5stelle e da Podemos. Già dal 1998 al 2005 hanno avuto un esperienza di governo
con i socialdemocratici (SPD) con l’importante ruolo di Joschka Fischer come
Ministro degli Esteri e Jürgen Trittin all’Energia con il quale si decise fra
l’altro l’abbandono totale del nucleare
in 20 anni. Il risultato è stato ottenuto, però sono ancora aperte alcune
grandi centrali a carbone a causa della troppo lenta conversione verso le
rinnovabili e della guerra in Ucraina. I Verdi sono al governo in numerosi
Lander con diversificati tipi di alleanza, dai Democristiani della CDU alla
Linke, con la sola eccezione della estrema destra (AFD). In vari momenti degli
ultimi due decenni i Verdi si sono avvicinati ripetutamente, almeno nei
sondaggi, a diventare il primo partito della Germania e nel gennaio 2021 è nato
un nuovo governo per la prima volta a tre (coalizione semaforo) con SPD e
Liberali (FDP). Nel governo di Scholz i Verdi hanno 5 ministri su 12, fra i
quali il Ministero degli esteri con Annalena Baerbock ed il superministero
dell’Energia con Robert Habeck. Malgrado la forte conflittualità interna (in
particolare fra Verdi e Liberali) e la deludente immagine di Scholz che ha portato ad una crisi
crescente dell’SPD, il governo ha portato alcune novità in tre anni: ha deciso
l’aumento del salario minimo a 12 euro l’ora, ha avviato la graduale
sostituzione del gas per il riscaldamento con l’obbligo delle pompe di calore
nelle nuove abitazioni. Si è abbassato il voto ai sedicenni e liberalizzata la
cannabis in modiche quantità. Forse troppo poco. La posizione apertamente a favore dell’Ucraina e l’intenzione di
aumentare la spesa militare ( nel 2022 era all’1,4% del PIL contro l’1,7
dell’Italia, l’ 1,9 della Francia e il 2,2 della GB) ha procurato forti
critiche dei pacifisti specie a Scholz e alla Habeck. In aggiunta il governo è
finito sotto attacco da più parti per i costi degli affitti, per l’aggravarsi
dell’inefficienza dei servizi e dei lavori pubblici, per l’aumento della
criminalità in alcune grandi città e nelle zone a forte concentrazione di
recente immigrazione. I Verdi al governo si sono trovati in alcune occasioni a
scontrarsi anche con una parte del loro elettorato. Il caso più rilevante a
inizio 2023 nel lungo scontro popolare per l’apertura e l’allargamento della
vecchia miniera di carbone e lignite di Luetzerath in Nordreno-Vestfalia dove i
Verdi sono anche nel governo del lander
con la CDU. Nelle grandi manifestazioni ambientaliste per impedire la
riapertura dell’ impianto ( con la presenza anche di Greta Thumberg e dei
principali esponenti di FFF alcuni anche dirigenti dei Giovani Verdi ) la
presenza dei Verdi al governo nazionale e locale è stata pesantemente messa sotto accusa, vissuta come un tradimento, rifiutando la
tesi che accettare il compromesso di
Luetzerath avrebbe portato ad una successiva anticipazione della fuoriuscita
totale dagli impianti a carbone nei prossimi anni.
Le evidenti difficoltà dell’intero
governo semaforo hanno avuto una pesante conferma nelle elezioni europee: L’SPD
è arrivata al suo minimo storico del 13,9%, i verdi all’11,9% perdendo il 40 %
dei propri voti del 2019 e in particolare i due terzi del voto giovanile dai 16
ai 24 anni, i Liberali sono scesi al limite del 5% che nelle politiche li
metterebbe fuori dal Bundestag. Dopo uno scontro interno al Governo durato mesi
sul Bilancio 2025 a inizio luglio sembrava imminente lo scioglimento della
coalizione: SPD a difesa di varie spese sociali, Verdi contrari a rinunciare
agli impegni di transizione ecologica, Liberali contrari a nuovo debito e
ostinati nel sostegno ad un taglio generalizzato delle spese sociali e
ambientali. Si è trovato un compromesso che vede un impegno di investimenti per
100 miliardi nel 2025, solo ritocchi sul reddito minimo ma anche il
ridimensionamento dell’aumento delle
spese militari da 6 a 1 mld.
A settembre arriva la grande verifica
su dove andrà la Germania con le importanti elezioni nei tre principali Lander
dell’Est ( Sassonia, Turingia, Brandeburgo). In tutti e tre i sondaggi indicherebbero
un grande risultato della estrema destra di AFD forse come primo partito vicino
al 30%, con la tenuta della CDU, il forte ridimensionamento dei tre partiti di
governo e la tendenza all’aumento di alcuni partiti minori. Fra questi Bündnis di Sahra Wagenknecht che ha abbandonato la
Linke, scomparsa dal Bundestag dopo la contestata candidatura di Carola Rackete
e il suo deludente risultato alle europee. La Linke è scesa sotto il 3% e ha ottenuto tre eletti, la metà dei voti di
Bündnis con sei eletti.
4 La crisi dei tre più significativi movimenti politici di
alternativa dell’Occidente ha elementi comuni impressionanti, alcuni ovvi ed
evidenti ed altri molto meno su cui vale
la pena ragionare. Nati in aperta critica al sistema politico nel suo insieme,
spinti dal successo anche rilevante, hanno assunto ruoli di governo in alleanza
con partiti tradizionali per lo più di sinistra moderata (socialisti e
socialdemocratici) ma non hanno mai messo in discussione concretamente né i
sistemi elettorali ereditati dai decenni scorsi ne la cultura politica
imperante che tende forzosamente al bipolarismo lasciandosi progressivamente
inserire nella logica delle coalizioni e della personalizzazione sui leader che
rendono meno visibile il progetto di riforma sociale, le alternative e le nuove
priorità. Venire collocati dentro l’alveo tradizionale della destra e della
sinistra rende arduo mantenere e far prevalere la propria alterità e con il
tempo porta alla marginalità. Sulle questioni sociali emergenti ( fra tutte la
necessità della transizione ecologica ed energetica, la gestione delle
migrazioni non regolate incrociata con la sicurezza sociale e la xenofobia,
l’accentuarsi delle disuguaglianze e la corruzione) si vede il palese
fallimento di tutte le destre e le sinistre degli ultimi decenni e in generale
una crisi di egemonia delle élite politiche dell’intero Occidente.
- La transizione ecologica richiede di
mettere in discussione con coraggio le forme di mobilità basate sull’auto a
favore dei vettori collettivi metropolitani a rete, privilegiare l’autonomia
energetica delle abitazioni con la autoproduzione da rinnovabili, sostenere la
tutela e l’aumento delle alberate e del verde diffuso nelle città con sistemi di irrigazione minimi
nei mesi estivi, l’uso di pavimentazioni che non assorbano calore e la messa al
bando di catrame, bitume e asfalto tradizionali, promuovere l’estensione delle
zone pedonalizzate per contenere così le isole di calore urbano, riorganizzare
il sistema idrico come bene comune per combattere siccità e desertificazione
crescente, ridurre la produzione di plastica che va considerata un inquinante
in continuo aumento.
- L’immigrazione richiede la istituzione
di corridoi umanitari permanenti
attraverso i quali il paese gestisce direttamente tutta l’entrata dei flussi
annuali. Su migranti irregolari e
clandestini e sulla logica emergenziale si misura ormai la incapacità e il
fallimento di tutte le destre e le sinistre. Anche il ruolo delle ONG risulta
irrilevante e mette in ombra il vero obiettivo che è quello di togliere ai
gruppi criminali e dare allo Stato il controllo dell’immigrazione. Va promossa la
costruzione di un percorso stabile e diffuso di integrazione in alternativa
alla immigrazione irregolare. Servono quindi percorsi di sostegno e controllo
permanenti che garantiscano la sicurezza
sociale e contrastino la xenofobia.
- La precarietà del lavoro e la tutela
dei più deboli richiede forme di reddito di sopravvivenza, il contrasto del
lavoro irregolare e la diffusione di un salario minimo orario universale in
tutti i settori, una rivoluzione fiscale che azzeri l’evasione e sia in grado
di contrastare le manovre che portano a forme irragionevoli di extraprofitti e
ad una fiscalità irrisoria dei grandi attori finanziari.
Si tratta di azioni e scelte di governo
ormai note a tanti, possibili, che sono realizzabili anche se trovano ovvi
ostacoli e nemici, ma che la gran parte della popolazione può comprendere e
condividere.
Sono convinto che i movimenti di
alternativa hanno caratteristiche di riformismo radicale che non coincidono con
nessuna destra e nessuna sinistra dell’occidente ma possono attrarre da diverse
direzioni una grande maggioranza che oggi percepisce, magari anche nell’astensionismo
e nell’inerzia, la necessità del cambiamento e la crisi a cui l’umanità sembra
andare rapidamente incontro.
Si tratta della vita e della felicità
della nostra e delle future generazioni.
bibliografia
Stati per spesa
militare - Wikipedia 2022
Europa, perché è
crollato l’argine contro le destre - maggio 2024
Il kurdistan che
non esiste - febbraio 2018
Sciopero globale
del clima, i Fridays for Future nelle piazze di tutta Italia:
"Riprendiamoci il futuro" - aprile 2024
Virginia Raggi:
“Il Movimento 5 Stelle torni alle origini. Allearci è un errore,
ci snatura” - giugno 2024
Il M5S avvia il
processo “costituente” - luglio 2024
Assemblea
costituente M5S, comunicato del Consiglio nazionale - agosto 2024
Spagna,
l’ultradestra (compresa Vox) da giorni in piazza a Madrid: tentati assalti alla
sede del Psoe - novembre 2023
Podemos ha
cambiato la Spagna - gennaio 2024
Spagna, «guerra
ibrida» contro Podemos: i poteri dello Stato al servizio di Rajoy - luglio 2024
Spagna: Il fallimento di Sumar
- luglio 2024
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mese lungo un anno - luglio 2024
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non solo in Francia, è tra populisti e liberali: il momento più pericoloso -
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Pen La sinistra vince a sorpresa le elezioni in Francia, ma nessuno ha la
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